Europa

Lesbo, un morto dopo lo sbarco. Allagato il campo profughi

Lesbo, un morto dopo lo sbarco. Allagato il campo profughiIl nuovo campo profughi di Lesbo subito dopo la costruzione – AP Photo/Panagiotis Balaskas

Grecia Una persona ha perso la vita, verosimilmente assiderata. Oltre 7mila a Kara Tepe in condizioni critiche

Pubblicato quasi 4 anni faEdizione del 20 gennaio 2021

Nel mar Egeo si è registrata ieri l’ennesima vita spezzata nel tentativo di raggiungere la Grecia. Tra lunedì e martedì una barca partita dalla Turchia è arrivata a Lesbo, nei pressi della spiaggia di Tarti. La mattina successiva 23 persone sono state soccorse. Tre erano disperse e sono poi state individuate. Una, invece, è morta. Verosimilmente assiderata.

Sull’isola la situazione dei rifugiati rimane difficilissima. Con l’arrivo dell’inverno le condizioni di vita nel nuovo campo profughi di Kara Tepe (Mavrovouni) sono diventate ancora più dure. Subito dopo l’incendio di Moria, il governo di Atene ha dato ordine di piazzare le tende su una ex area militare a ridosso del mare. Un luogo che secondo Human Rights Watch esporrebbe rifugiati e operatori delle Ong al rischio di avvelenamento per la presenza di materiali tossici interrati in seguito alle esercitazioni militari. Con il maltempo la spianata si allaga continuamente e le tende finiscono nel fango. Non ci sono ancora luce, riscaldamenti o acqua calda. Negli ultimi giorni è stata denunciata l’imposizione del divieto di filmare o fare foto. In condizioni disumane vivono oltre 7mila persone, di cui circa 2400 minori.

Lo scorso anno gli arrivi di migranti in Grecia sono crollati. Tra il 2019 e il 2020 quelli via terra, attraverso il fiume Evros, sono passati da 14.887 a 5.982, quelli via mare addirittura da 59.726 a 9.687. Nonostante ciò i morti sono aumentati: da 71 a 102 (dati Unhcr). Secondo l’Ong Aegean Boat Report (Abg), che monitora costantemente sbarchi e respingimenti, la diminuzione è dovuta agli effetti del Covid-19, ma anche ai respingimenti illegali che il governo greco pratica in maniera sistematica. «Nel 2020 abbiamo registrato 324 casi di respingimenti nel mar Egeo. Hanno coinvolto 9.741 bambini, donne e uomini», scrive Abg nel report annuale, in cui denuncia che 3.067 persone erano riuscite ad arrivare sulle isole greche. «Sono state arrestate dalla polizia, costrette a riprendere il mare e lasciate alla deriva su lance di salvataggio», continua.

Le immagini di queste pratiche contrarie al diritto internazionale, ma che avvengono grazie al silenzio dell’Europa, sono scioccanti: si vedono gonfiabili arancioni lasciati in mezzo alle onde, in acque turche, con delle persone dentro. È spesso la guardia costiera di Ankara a soccorrere i rifugiati, utilizzati poi per promuovere l’immagine della Turchia. Un mondo alla rovescia in cui le politiche europee anti-migranti fanno fare bella figura perfino a un regime sanguinario

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