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L’eredità politica del “Simposio”

Verità nascoste Confronto intorno ad uno dei più celebri dialoghi di Platone

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 9 marzo 2019

Sarantis Thanopulos: «Nella tua lettura del “Simposio”, Monica, metti in risalto la figura di Diotima, la donna arcade in grado di vedere il futuro attraverso un presentimento che è reminiscenza, anamnesis, del passato. È nel passato, infatti, che si può riconoscere con più chiarezza ciò che nel presente esiste come potenzialità: che potrebbe prendere forma. La capacità profetica rivolta al prima, oltrepassa il passato che persiste, la continuità chiamata tradizione, per cogliere il suo divenire nei segni anticipatori che dicono e non dicono, alludono.

Diotima, nella tua prospettiva, è l’anello di congiunzione tra il paradigma politico di Arcadia -fondato sulla natura nomade, errante del desiderio, che sposta gli esseri umani oltre il loro centro di gravità, li spinge l’uno all’altro- e il paradigma politico di Atene -fondato sul discorso, sul pensiero/logos. Atene cade perché rimuove la natura errante, erotica della sua origine. A dividere Arcadia da Atene è il privilegio di cittadinanza, assente nella prima, costitutivo nella seconda. Il privilegio di cittadinanza è una contraddizione della democrazia che mina la sua esistenza».

Monica Ferrando: «Proprio così Sarantis. Privilegio concesso da un eros cittadino pago di beni e di successo, preda di un narcisismo identitario in cui cova l’esclusione dello straniero. Nel “Simposio” l’eros è rivoluzionario, non si appaga di beni, di bei corpi, o della città, come voleva Pericle. Ha voce femminile, che lui si augurava di non udire (Tucidide), e straniera, di Arcadia: il luogo più lontano, nello spazio e nel tempo, da Atene, da essa inclusa ad escludendum per compensare il suo ripudio delle origini comuni e avviarsi all’imperialismo di cui forgia il modello.

Il filo arcade-erotico che innerva il dialogo guida a un’altra dimensione dell’umano: non più banale identificazione col successo (economico, sociale, estetico, politico) – eros non è un dio – ma ammissione di povertà (di memoria, mezzi, sapienza, bellezza) – eros è un daimon. Impotenza programmatica? Il contrario. Sorgività inesauribile: accesso alle fonti del desiderio (di ricordare, creare, pensare, contemplare), la cui potenza condurrà all’idea di un bello senza immagini. Nessun potere potrà più sedurre la mente che vi giunge e la meta è riservata a ogni essere umano. È l’antica sapienza femminile, anamnesis di un’età pacifica, che l’Arcadia di Diotima trasmette».

Sarantis Thanopulos: «Eros nasce da Penìa, povertà, e da Pòros, passaggio/guado, ma anche ’accorgimento’. Da una parte sosta nella mancanza, nella dimensione insatura dell’appagamento, evita il proprio ottundimento; dall’altra, è capace di intuire dove e come attraversare lo spazio che lo separa dall’oggetto mancante. Di questo oggetto, dal quale non lo sviano le immagini, l’eros può godere, ma non lo possiede: non ne è il proprietario, non lo usa come bene da consumare. Nel cercarlo, rinuncia a una memoria addomesticata, supposta sapiente, per farsi pungere da ricordi vivi».

Monica Ferrando: «La memoria punge, col kairos (il tempo opportuno) della parola giusta al momento giusto (l’azione politica secondo Hanna Arendt), la gonfia rigidità del passato. Il tempo torna al suo statuto musicale, cioè politico: Mantinea, patria di Diotima, era il centro della musica e Socrate, nel “Simposio”, è la sintesi di musica e parola. Il passaggio alla filosofia consente di riconoscere dentro la macchina economica che stritola la politica umana un eros ottuso, privo di pensiero che ipoteca il futuro.

L’erotica politica scioglie l’ipoteca (questo e il significato dell’anacronismo del dialogo, in cui la memoria libera il futuro scrutando il passato), e mostra come eros e pensiero coincidano nel kairos musicale e poetico, cioè finalmente politico, della parola».

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