L’eredità degli Squallor: una risata ci disseppellirà
Note sparse Una monografia di Marco Ranaldi racconta la carriera dell'irriverente gruppo
Note sparse Una monografia di Marco Ranaldi racconta la carriera dell'irriverente gruppo
Nell’affollato scacchiere culturale degli anni Settanta gli alfieri dell’industria discografica si muovono secondo precise strategie politiche, incrociando le loro diagonali con quelle del costume e del consumo. Finanche il Vaticano ne ha fiutato le potenzialità, benedicendo e sovvenzionando l’approdo in via Tiburtina dell’americana RCA. Al polo romano fa da contraltare la Tin Pan Alley milanese di via Quintiliano. Nel palazzone al numero 40 imperversano nottetempo strane figure, pur di casa nella nuova sede della Compagnia Generale del Disco. Alfredo Cerruti ne è il direttore artistico, Daniele Pace e Giancarlo Bigazzi i parolieri di punta (al lettore il gusto di scoprire i loro titoli più celebri); con loro Totò Savio, chitarrista e compositore, ed Elio Gariboldi.
SI IMPROVVISA tra whisky, canovacci e nastri: esce un 45 giri in cui, parodiando il Gainsbourg di Je t’aime, si narra l’assurda storia d’amore di «un elettrotecnico che seppe inventare la pila». È il 1971, è il 38 Luglio: annunciata da tre uomini in mutande nasce la terza via tra cantautorato e canzonetta.
Anarchia? Dadaismo? Forse semplice cazzeggio, rigorosamente in incognito. Senza promozione, bandito dalla Rai e demonizzato dalla Chiesa, il gruppo troverà asilo tra le radio libere. Come suol dirsi, il resto è storia, e Marco Ranaldi la racconta giusta nel libro Gli Squallor: una rivoluzione rock (Crac edizioni). Reinseriti nel variopinto contesto della loro epoca, riecco i protagonisti di quella saga demenziale: dal Cardinale Fava a Pierpaolo, da papa Gennarino I alla tribù degli Arrapaho. Riscopriamo l’irriverenza e la trivialità; la dissacrazione dell’industria musicale dall’interno del Palazzo; l’ipocrisia dei censori schernita e smascherata: «Siamo solo più sinceri degli altri». Poi l’anarchia evapora nell’edonismo della Milano da bere che disinnesca la volgarità sdoganandola in tv.
ESAURITA la fase propulsiva la rivoluzione saggia i suoi frutti chiedendosi, con Zappa, «Does humour belong to music?». L’eredità viene spartita tra Skiantos ed Elio e le Storie Tese (ma anche Tony Tammaro rivendica diritto di successione). Dopo la recente scomparsa di Cerruti, Rocco Tanica ha scritto: «Tanti tra noi poveri stronzi che spesso passiamo per spiritosi non sarebbero niente di niente se su questo pianeta noioso non fosse transitato lui». Piovono macerie, «cadon’e palazz’», una risata ci disseppellirà?
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