L’equilibrismo di Meloni: europeista e trumpiana
Il vertice A Budapest, vista l’instabilità in Ue, si accredita come punto di riferimento, anche di Musk. E sulle spese militari: «Le risorse vanno individuate, non sono disposta a prendermela con gli italiani»
Il vertice A Budapest, vista l’instabilità in Ue, si accredita come punto di riferimento, anche di Musk. E sulle spese militari: «Le risorse vanno individuate, non sono disposta a prendermela con gli italiani»
Sul tavolo del Consiglio europeo riunito a Budapest c’è il rapporto Draghi sulla competitività, già illustrato in settembre al Parlamento europeo. Il testo è lo stesso. È il contesto a essere cambiato drasticamente con la vittoria di Trump. Se l’allarme rosso suonato da Draghi era rumoroso due mesi fa, ora è assordante. L’Europa deve preparare una risposta alle possibili politiche della nuova amministrazione americana e lo deve fare nelle condizioni peggiori. Acefala. Con i Paesi guida, Germania e Francia, senza governi stabili. La premier italiana guida il terzo governo per importanza ma il primo per stabilità, palma che nel G7 condivide con i futuri Usa di Trump. Per lei al rischio si accompagna un’occasione forse irripetibile. Dopo aver smaltito la delusione per la mancata vittoria di Kamala Harris, che in realtà auspicava, si riposiziona per provare a coglierla.
LO FA A PORTE CHIUSE, candidandosi al ruolo di «cerniera» nella difficile negoziazione con gli Usa su dazi, spese militari e Ucraina. I suoi Conservatori, a metà strada tra destra radicale e Ppe, possono andare oltre i reietti di Orban e dei suoi Patrioti, nonostante siano questi ultimi a godere della fiducia del nuovo presidente. Con i colleghi, l’italiana è esplicita: «Sarebbe un errore imperdonabile avere paura di Trump. Bisogna dialogare, costruire relazioni. Il vero nodo sono le sfide che abbiamo di fronte, non Trump». Tra quelle relazioni lei ne vanta una che può rivelarsi essenziale: quella con Elon Musk che ritiene «possa e debba essere un interlocutore».
LA LEADER della destra italiana non ha alcuna intenzione di farsi schiacciare sulle posizioni dei sovranisti duri. Intende al contrario aprire un canale di comunicazione e di trattativa sui dazi con il presidente Usa in veste di leader europea ed europeista. L’ostacolo principale è l’Ucraina. La leader più vicina a Kiev che ci sia stata nell’Europa occidentale non può spostarsi troppo e infatti conferma che «finché c’è la guerra noi siamo con l’Ucraina». Ma bisogna guardare alle sfumature: «Se oggi si va verso uno scenario di pace è per lo straordinario coraggio degli ucraini e perché l’Occidente ha sostenuto l’Ucraina». Col tono di chi ritiene che quella vicenda sanguinosa si stia comunque per concludere.
L’ERA TRUMP cambia le carte in tavola anche per quanto riguarda la trasformazione profonda della quale l’Unione necessita. Giorgia la draghiana mira soprattutto a sfruttare la fase delicatissima che si sta aprendo per spingere l’Unione nella direzione indicata dal Rapporto Draghi. Conia uno slogan alla Kennedy: «Non chiedere agli Usa cosa possono fare per l’Europa ma all’Europa cosa può fare per se stessa». Significa mettere a disposizione dei singoli Paese gli strumenti per raggiungere gli obiettivi ambiziosi che si snocciolano sulla carta. In breve, investimenti, investimenti, investimenti.
SOLO SU UN PUNTO la premier si scosta dal suo predecessore. Draghi è convinto che si possa arrivare all’aumento delle spese militari sino al 2% del Pil rispettando il Patto di stabilità. Meloni pensa l’opposto. Non che sia contraria all’aumento in sé, anzi. Però «poi c’è quello che si può fare e le risorse vanno individuate perché io non sono disposta a prendermela con i cittadini italiani». Dunque va rivisto il Patto di Stabilità. L’obiettivo è chiaro: escludere le spese militari, ma non solo quelle, dal Patto stesso. Di questo si parla quando si allude alle «risorse necessarie». Una battuta sull’Albania ci scappa. La madrina del protocollo con Tirana assicura di aver registrato universale preoccupazione perché dire che non ci sono Paesi sicuri «di fatto compromette ogni possibilità di governare l’immigrazione e fermare quella illegale. Su questo trovo molta solidarietà».
L’OMBRA DEL VOTO americano trapela anche nel quotidiano battibecco con Elly Schlein, quello a proposito della battuta della premier sul suo mancare di diritti sindacali, bollato dalla leader del Pd come «uno svilire i diritti sindacali». Prima Giorgia sottolinea che era solo una battuta «leggera» poi giura di difendere i diritti sindacali «molto più della sinistra al caviale» ed è avanspettacolo da una parte e dall’altra. Alla fine però calca la mano: «Spero che la sinistra individui qualche tema serio in attesa di ritrovare un’identità che le consenta di stare a fianco dei cittadini». È il tono sprezzante dell’alto ufficiale di un esercito che ha appena messo al tappeto l’armata avversaria. Non solo negli Usa ma in tutto l’occidente.
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