Cultura

L’epopea di un dissidente

L’epopea di un dissidenteUna foto di Albert Camus

Saggi «Camus deve morire» di Giovanni Catelli

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 3 aprile 2014

Il nome di Albert Camus è associato a opere come lo «Straniero» o «La Peste», agli studi sul mito di Sisifo. Opere letterarie, certamente, ma Albert Camus era tanto altro. Giovanni Catelli ricorda e sottolinea proprio questo aspetto «plurale» nel libro Camus deve morire (Nutrimenti, pp. 159, euro 13). Un intellettuale che voleva la giustizia sociale, che rinnegava ogni forma di sopruso: ecco il ritratto che fuoriesce da queste pagine. Lo scopo di Catelli è svelare il mistero che da anni grava sulla morte di questo scrittore, scomparso a soli quarantasei anni in un incidente stradale. Una morte piuttosto banale, anche a detta dello stesso Camus poco tempo prima del fatto. Per alcuni fu solo una fatalità, per altri la cosa fu orchestrata a dovere per togliere di mezzo un uomo scomodo, che parlava troppo senza curarsi di chi stava al potere. Catelli sostiene con molta convinzione questa seconda ipotesi.

Camus era uno scrittore «ribelle». Aderì in un primo momento al partito comunista, per poi diventare, secondo l’autore, un anarchico. L’evento che più di tutti gli altri potrebbe aver causato la sua morte è l’opposizione che, attraverso i suoi scritti, portò avanti contro le politiche del governo sovietico. La questione calda che viene analizzata è quella dell’invasione sovietica dell’Ungheria nel 1956. Camus, così come altri intellettuali del suo spessore, rispose all’appello degli scrittori ungheresi, che chiesero solidarietà agli intellettuali «europei». La lettera che lo scrittore pubblicò in risposta fu una denuncia rivolta contro la Russia e, in particolare, contro il ministro degli esteri Dmitrij Shepilov. Questo fu, secondo Catelli, una atto di sfida contro l’Unione sovietica. Attorno a un tale evento ruota la tesi secondo cui la morte di Camus sarebbe stata progettata dal Kgb, con lo stesso ministro Shepilov come mandatario.

Ma questa tesi è da leggere come un pretesto per un obiettivo, a suo modo, più ambizioso: la rivisitazione della figura storica di Camus in quanto intellettuale dissidente. Tutto ciò spesso viene tralasciato, dando rilievo solo al Camus scrittore vincitore di Premio Nobel. I critici tendono a perdere di vista la vocazione sociale e politica, entrambi presenti nell’opera di Camus. Il merito di Catelli sta nell’avere riportato alla luce una figura che rischiava di scomparire dietro tomi di analisi letteraria, di averle ridato luce e colore, spessore, vita. Un altro aspetto rilevante è la forma che Catelli sceglie di dare a una materia così trasversale come la ricostruzione di una personalità storica.

Il libro è veloce, leggero, assolutamente accessibile e chiaro, senza nessuna concessione alle retoriche dell’Accademia. Catelli è sintetico, ma mai troppo giornalistico, nel senso che la sua scrittura somiglia più a un romanzo, una storia di fantasia più che a un dossier su un omicidio. Il lato positivo è che ciò restituisce al lettore la dimensione di suspense e immedesimazione che può donare un romanzo; il lato negativo, invece, è che la tragicità di questa figura storica inevitabilmente si smussa e cade un po’ nel dominio dell’irreale.

Tuttavia un rischio del genere andava corso per raggiungere il risultato finale e per distinguere quest’opera dalle solite biografie, che hanno come unico scopo quello di fornire una ricostruzione storica. Catelli cerca di andare oltre e, per buone parte del libro, ci riesce, regalando al lettore il trasporto letterario unito alla verità storica di un grande personaggio.

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