Mettere in libertà le lettere mai inviate dei malati psichiatrici rinchiusi nei manicomi di Trieste e Gorizia. Farle uscire dai luoghi di costrizione e contenimento. Lasciarle andare dopo molti anni affinché raggiungano un destinatario che se ne faccia carico. Storie indirizzate a famiglie e amici rimaste intrappolate negli ospedali, silenziate, censurate, confinate fra quattro mura come gli stessi autori, legati ai letti, con le camicie di forza, le sbarre, senza nessun contatto con il mondo esterno. Archiviate come parte della documentazione clinica dei pazienti.
È la nuova tappa del progetto di arte pubblica partecipata Ci. Corrispondenze immaginarie di Mariangela Capossela a cura di Giulia Crisci e Francesca Comisso. Da domani, giorno del centesimo anniversario dalla nascita di Franco Basaglia, sarà aperta la chiamata rivolta a chi desidera ricevere una lettera e restituire una propria risposta. L’artista ha coinvolto le scuole e i cittadini per gli scrittoi pubblici in cui le missive si trascrivono, numerano e contrassegnano. Abbiamo rivolto a Mariangela Capossela alcune domande.

Scrittoi pubblici, Volterra, 2022

In cosa consiste il progetto e come si articola?
È nato due anni fa, su richiesta del direttore artistico di Volterra 22, prima città toscana della cultura, che fino al 1978 ospitava il più grande ospedale psichiatrico attivo in Italia. L’invito era per pensare a un intervento partecipato sulla memoria dell’ex ospedale psichiatrico. Dopo il sopralluogo fra le rovine spettrali, nel piccolo museo del manicomio c’erano alcuni oggetti salvati dal saccheggio. Sono rimasta colpita dal volume Corrispondenza negata. Epistolario dalla nave dei folli edito nel 2008 da Del Cerro Libri, in cui erano pubblicate centotrenta lettere. Un testo con le riproduzioni originali e le trascrizioni. L’epistolario era così forte che volevo metterlo in circolazione, è venuta da sé l’idea di una forma partecipata per liberarlo. Si è aperta anche una riflessione sugli archivi che fanno conservazione, ma al tempo stesso sottraggono dal presente, rendendo l’accessibilità al materiale molto complessa. La circolazione delle missive esprime la volontà di rendere la memoria viva, chiedere risposte a un documento del passato e alle parole che non hanno raggiunto nessun destinatario, è un’operazione che va a tessere nel presente una sutura per una ferita di ieri.

Lettere inviate da Volterra, 2022 Foto di Guillaume Souweine

Cosa ci dicono quelle lettere mai inviate?
Sono parole confinate. Il gesto artistico, attraverso azioni che non hanno niente a che fare con l’utilità, crea un sistema di cura generale e psichiatrico, con le risposte ci si fa carico oggi di quelle parole. Nonostante l’eccellenza della legge Basaglia non navighiamo in buone acque. Parlo di cura perché lascio la possibilità di creare un’opera a chi risponde alla call, offrendo la sua presenza. Questo attiva un’energia collettiva, corale, basata sull’individualità degli autori del passato, i pazienti, e di oggi. L’unicità delle calligrafie e le trascrizioni dei partecipanti si vivificano con i tratti personali. Per la legge sulla privacy non possiamo diffondere i manoscritti originali dei pazienti, nella trascrizione manuale e al computer, per rendere più chiaro il testo, le lettere sono epurate dagli elementi che possono far risalire all’identità dell’autore, tra cui la grafia. Si agisce su cose sensibili, l’identità e lo spazio domestico, si accolgono nelle proprie case opere che entrano ed escono per finire in un’altra casa in cui l’anno prossimo faremo la restituzione pubblica. La selezione epistolare di Volterra ricopre l’arco temporale che va da fine ’800 fino al 1974, e tratta di ingiustizia e profondo desiderio di uscire, coercizione. Tratteggia la storia della cura, le pratiche del passato, i tentativi, i medicinali degli anni ’30. Molte risposte comparavano le cure attuali e i cambiamenti fatti.

Qual è l’intervento artistico sul materiale?
È un gesto artistico di cura, non una ricostruzione storica. Si è attivata un’energia intorno a un trauma e a un soggetto sensibile, ho cercato di fare qualcosa per risanare. Sono stati messi da parte gli alienati e i non conformi rispetto a quello che la società si aspettava. M’interessa il tema della non conformità nelle parole dei pazienti, i frammenti delle lettere sparse in giro seminano un pensiero altro, anormale. L’aspetto psichiatrico rielaborato da me in quanto artista può diffondere un pensiero di alterità ancora escluso dalla società. Lo stigma e le difficoltà a farsi curare ci sono anche oggi.

Mariangela Capossela

Al centro del lavoro c’è la memoria, come vi si è rapportata?
A differenza degli archivi con l’uscita e la messa in circolazione dei documenti e dei materiali ancora chiusi si fa memoria attiva. Quando si riceve, la lettera non è più un documento storico, ma assume un valore oggettivo ed emotivo. Ha a che fare con il tempo, la corrispondenza obbliga alla lentezza per riflettere, trovare le parole, leggere, rileggere. La lettera scritta a mano ha un’energia, si vedono le tracce vive della persona, del pensiero e del corpo. Anche se arriva dal passato ha uno statuto che non passa mai ed è ancora più forte quando non ha potuto raggiungere il destinatario. Vengono sottratte a un tempo storico definito, molte di queste hanno un tempo incerto, date mancanti o non realistiche. La ricostruzione storica ha i suoi limiti, io così la sottraggo allo statuto di documento, diventa un oggetto vivo, una traccia che porta i segni di umanità, individualità. Nelle lettere le sofferenze di quelle persone sono documenti. Si cerca di allontanarle, ma il progetto è sulla sofferenza mentale che esiste ed esisterà sempre, fa parte di noi e della società. Confrontarsi con il dolore significa mettere al centro del lavoro la fragilità umana, oggi ostracizzata per tenere da parte la debolezza.

Che forma ha questo epistolario?
Ho fatto un’immersione nel mondo della calligrafia coinvolgendo i partecipanti degli scrittoi pubblici. Quando trascrivono le lettere si appropriano di una pratica amanuense di attenzione alla gestualità, come per le parole salvate dall’oblio dai copisti, attraverso la riscrittura mettono in salvo le lettere su un unico rotolo aperto. Ognuno interviene sulla sua sezione come si faceva nel Medioevo con le parole sacre. In questo caso non sono sacre perché abbandonate. Ho usato timbri e codici inventati appositamente. I manoscritti sono su carta velina, piegata e conservata, chiusa da un laccio. La velina ha una fragilità palpabile che va trattata con cura, come le storie delle persone, la lettera è dentro a un cartoncino che riproduce una cartella clinica ed è legato con un pezzo di tessuto che richiama la camicia di forza. Nella busta ci sono anche le indicazioni su come rispondere e il testo stampato al computer, per facilitare la lettura. Su quella trascritta il timbro rosso con le iniziali dello scrittoio pubblico, come i copisti, la data e altri due timbri per il numero attribuito alla lettera inviata e quello del destinatario. L’abbinamento per la catalogazione e per rendere comprensibile le corrispondenze, e un registro degli invii. Dalla busta si capisce che si tratta di una lettera inusuale, ci sarà anche il francobollo del centenario della nascita di Basaglia. Le risposte saranno raccolte fino alla fine del 2024 con la restituzione pubblica nel 2025, poi ci saranno altre tappe negli ex ospedali psichiatrici. Per chi volesse candidarsi: https://www.corrispondenzeimmaginarie.it/partecipa