L’epidemia si sconfigge sul territorio, non in ospedale
Rischio seconda ondata Il rischio della seconda ondata divide l’opinione pubblica tra pessimisti e ottimisti. Ma ci si affida alla speranza quando le istituzioni sono assenti
Rischio seconda ondata Il rischio della seconda ondata divide l’opinione pubblica tra pessimisti e ottimisti. Ma ci si affida alla speranza quando le istituzioni sono assenti
L’attesa per i decreti governativi ruota ormai intorno al quesito «nuovo lockdown o no?». L’opinione pubblica si divide. Da un lato si chiede attenzione per la traballante situazione epidemiologica. Dall’altro si teme l’effetto depressivo di nuove chiusure su un’economia altrettanto traballante e su noi stessi.
Anche media ed esperti tornano a dividersi: tra pessimisti e speranzosi. In questo contesto, la qualità del governo sembra dipendere esclusivamente dal tempismo delle decisioni e dal giusto mix di prudenza e audacia. Come se il contagio e le sue ricadute sui servizi sanitari fossero ineluttabili e si potesse solo rinviare l’impatto o rassegnarvisi. Ma come disse una volta Mario Monicelli, la speranza è una trappola inventata dai padroni.
Pare dimenticata la lezione del disastro lombardo di marzo e aprile. Come ha mostrato un numero rilevante di inchieste e analisi, quel disastro non era affatto inevitabile. A crearne le premesse sono stati lo smantellamento della medicina del territorio, i tagli dei posti letto, la sudditanza della politica all’impresa, l’assenza di dispositivi di protezione previsti per legge. Per scongiurare una seconda ondata erano questi gli aspetti del sistema sanitario a cui bisognava mettere mano, in Lombardia e altrove.
Qualcosa, in sette mesi, è stato fatto: adesso le mascherine ci sono e i letti in terapia intensiva sono stati riportati in media europea. Ma il focolaio lombardo insegna che l’epidemia si sconfigge sul territorio e non in ospedale. Ora che il virus torna ad assediarci, scopriamo quanto tempo abbiano perso governo e regioni su questo terreno. In molte aree la capacità diagnostica è ancora ridotta. Perché non si è esteso all’intero territorio nazionale il “modello Veneto” messo a punto da Andrea Crisanti, che mesi fa aveva proposto al governo un piano per triplicare il numero di tamponi?
Quanti concorsi per posti non precari sono stati banditi per rimediare alle carenze di organico dei servizi di prevenzione? E cosa si è fatto per attribuire ai medici di famiglia maggiori responsabilità negli interventi di sanità pubblica?
Il governo nazionale e quelli regionali hanno aumentato il loro consenso grazie all’emergenza della scorsa primavera. Se il contagio dovesse ripartire ai ritmi di marzo, gli alibi del virus imprevedibile o dell’Europa egoista stavolta non basteranno. Tra i naufraghi alla deriva nella seconda ondata potrebbe esserci proprio chi ha “surfato” sulla prima.
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