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L’epidemia, la «Città» e il vivere e filosofar

Verità nascote Fabio Ciaramelli: «Sarantis, a differenza di te, non credo che nell’intervento di Agamben l’equazione tra coronavirus e “influenzavirus” sia stata un elemento marginale. Mi sembra invece che ne costituisse non […]

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 21 marzo 2020

Fabio Ciaramelli: «Sarantis, a differenza di te, non credo che nell’intervento di Agamben l’equazione tra coronavirus e “influenzavirus” sia stata un elemento marginale. Mi sembra invece che ne costituisse non solo il punto di partenza ma il fondamento teorico: un fondamento che si sta rivelando sempre più chiaramente falso. Concordo con Roberto Esposito che, pur situandosi in una prospettiva biopolitica vicina ad Agamben, gli ha rimproverato la mancanza di senso delle proporzioni. Perciò, in definitiva, pur condividendo le tue considerazioni successive sulle minacce alla sopravvivenza psichica, non ne condivido l’attacco.

A mio avviso, nonostante l’ammirazione per Giorgio Agamben e per le sue brillanti teorie, penso che stavolta abbia preso una cantonata (glielo ha fatto notare anche Jean-Luc Nancy)».

Sarantis Thanopulos: «Fabio, la tesi di Agamben sullo stato d’eccezione che sta diventando normale modalità di governo, regge bene anche senza l’equazione tra Coronavirus e virus dell’influenza. La teoria biopolitica ha trovato nell’elaborazione di Agamben un ampliamento importante del suo respiro: il vivere ridotto in “nuda” (cruda) vita, fondamento di un’eccezione permanente alla libertà e alla democrazia. Nella gestione della quarantena, nei suoi slogan principali e nella pressione psicologica a cui siamo sottoposti, mi sembra dominante la logica del vivere per sopravvivere, per non morire. Nessun parola spesa per le persone che si amano al di là delle case di famiglia, per i familiari separati tra città diverse, per gli amici che non possono incontrarsi, per chi la casa non ce l’ha, o vive in case opprimenti, per i desideri, le emozioni, i sentimenti che amano gli spazi aperti, che viaggiano non nei social ma nelle strade del mondo.

Questo potere psicologico/ideologico dei bisogni biologici, che sovrintende l’emergenza, ci mostra la natura vera dello stato d’eccezione che incombe su di noi oggi, che non è più, come pensava Karl Schmidt -come non lo è stato nell’epoca nazista- la sospensione o abolizione di un ordinamento giuridico per decisione politica, ma una mentalità collettiva anonima: l’assetto psichico antrophofobico dell’individuo desolato, eremos di Epitetto, che abolisce la politica e diventa forza di legge, governo a danno di tutti. Non trovi inquietante l’affermazione “decidono gli scienziati”, cioè nessuno?».

Fabio Ciaramelli: «Sono d’accordo, come hai scritto, che gli scienziati non possano dare una risposta definitiva e infallibile alle nostre paure, neanche in questo caso. Trattandosi d’un virus nuovo e finora praticamente sconosciuto, è ovvio che la medicina – la quale, tra l’altro, non è una scienza, ma una tecnica basata su dati scientifici – possa solo muoversi “per tentativi ed errori”. Ma questa volta, con gli ospedali intasati e il contagio dilagante, in base a criteri prudenziali e precauzionali, non vedo che altro si sarebbe potuto consigliare agli organi competenti.

E infine, quanto al rischio che le misure antivirus decise dalle autorità politiche possano costituire una minaccia per la nostra democrazia costituzionale, non sarebbe male se la nostra hybris filosofica facesse un passo indietro. Più di tante riflessioni di filosofi, m’hanno fatto pensare le parole d’un bravo giornalista, Andrea Giardina, che ha così concluso il suo reportage sul virus: “Se serve a salvare vite, la democrazia può essere sospesa, almeno per qualche ora. “Primum vivere, deinde philosophari”».

Sarantis Thanopulos: «La politica di Pericle aveva grandi limiti, ma sono sempre valide le sue parole: “Amiamo il bello con sobrietà (senza futilità estetizzanti) e filosofiamo (amiamo il pensiero critico) senza essere molli)”. Non temiamo i sacrifici, ma li facciamo per prendere in mano la gestione della città per risanare i disastri del passato e per non fare dell’avvenire la ripetizione di emergenze».

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