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L’epidemia del bostrico, i danni dell’insetto dopo la tempesta Vaia

Boschi colpiti dal bostrico a Moena, Val Di Fassa foto di Michele LapiniBoschi colpiti dal bostrico a Moena, Val Di Fassa foto di Michele Lapini – Michele Lapini

Fotografia naturalistica Le ferite aperte delle foreste di Michele Lapini. Padova, fino al primo dicembre

Pubblicato 4 giorni faEdizione del 24 ottobre 2024

Sono molti i messaggi che è possibile cogliere a Padova, fino al primo dicembre, visitando la mostra fotografica di Michele Lapini, Le ferite aperte delle foreste. Il Cortile Antico del Palazzo del Bo, sede storica dell’Università di Padova, ospita i reportage che il freelance toscano che lavora a Bologna ha dedicato all’epidemia del bostrico, cioè all’impatto devastante nel medio-lungo periodo della tempesta Vaia del 2018, le cui conseguenze immediate per i boschi di abete rosso sono amplificate dalla proliferazione di questo piccolo coleottero, presente naturalmente nei boschi.

LA GRANDE QUANTITA’ di alberi schiantati dopo Vaia e l’aumento delle temperature hanno infatti consentito alle popolazioni di bostrico di passare da una presenza endemica a una presenza epidemica, compromettendo la capacità del bosco di rigenerarsi e di continuare a offrire servizi ecosistemici.

LE PAROLE che accompagnano gli scatti, Michele Lapini le ha prese in prestito da un libro, Sottocorteccia (People, 2024), che spiega in modo chiaro l’esigenza di cambiare radicalmente il nostro approccio al bostrico, che non è un insetto killer né implacabile, come si è letto in questi anni nella maggior parte dei titoli di giornale che accompagnano il racconto dell’epidemia. Del resto, Lapini nel suo lavoro (che negli ultimi anni ha indagato il tema del consumo di suolo e poi raccontato le alluvioni in Romagna) guarda alla complessità di cause e conseguenza del cambiamento climatico, per accompagnare chi guarda i fenomeni in profondità. Per questo, pesca dal libro, firmato da Pietro Lacasella e Luigi Torreggiani, frasi come «foreste, Uomini e Insetti saranno sempre destinati a convivere, sta a noi decidere come».

IL BOSTRICO non lo possiamo cacciare, né annichilire. Servono boschi sani, semmai, perché non proliferi. «Mi sono imbattuto nel bostrico a causa della tempesta Vaia e il mio obiettivo si è trovato di fronte ai tre protagonisti delle fotografie: gli alberi, un insetto e degli uomini, ricercatori e forestali, al lavoro. Li ho considerati come facenti parte di uno stesso mondo abitato, l’ambiente. Salvare un albero, un insetto, capire da cosa sono legati significa salvare noi stessi, capire gli errori e cosa si può fare in futuro. Il contrasto al bostrico mi ha fatto entrare in un universo a me sconosciuto, ma che era al confine con la mia ricerca fotografica che è quella di documentare la crisi climatica» ha spiegato Michele Lapini.

«L’EVENTO INCREDIBILE della tempesta Vaia per me è stata il momento in cui ho deciso di concentrarmi sulla crisi climatica in Italia, arrivato sui posti ho visto quella devastazione. Non poter raccontare con una fotografia sola cosa avevo davanti, il silenzio, l’odore di alberi. Eppure tutto era lì, non in un posto lontano, la crisi climatica era arrivata in Italia. Era palese, un problema che riguardava noi tutti e anche me come fotografo. Dovevo, e l’ho fatto con questi scatti, avvicinare lo sguardo, cogliere il problema che ci abita accanto».

LA MOSTRA PER L’UNIVERSITA’ di Padova è l’occasione per promuovere una campagna aperta al pubblico fino al primo dicembre, racconta i gravi effetti causati dal parassita che sta colpendo con effetti devastanti numerose aree boschive del Veneto. Un’emergenza a cui l’Ateneo di Padova ha risposto attivandosi per finanziare due dottorati di ricerca di durata triennale in Selvicoltura e Entomologia, coordinati dai Dipartimenti Tesaf e Dafnae, finalizzati allo studio del fenomeno epidemico e di nuovi metodi e strumenti di prevenzione.

«DOPO QUESTE EMERGENZE – spiega un altro dei pannelli che accompagnano la mostra – gli operatori del bosco sono riapparsi agli occhi di tutti come realmente dovrebbero essere percepiti: custodi del territorio, a servizio di un bene comune».

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