L’epica lotta con mondi selvaggi
Buchmesse Al via domani la fiera del libro di Francoforte che dopo la scorsa edizione online si aprirà in presenza. Un percorso sulla letteratura del Canada, paese ospite
Buchmesse Al via domani la fiera del libro di Francoforte che dopo la scorsa edizione online si aprirà in presenza. Un percorso sulla letteratura del Canada, paese ospite
«Quello che era uno spazio inarticolato su di una mappa, risponde ora al mondo con le lingue e gli occhi di un’immaginazione matura e disciplinata». Le parole di Northrop Frye costituiscono la migliore definizione della letteratura canadese di lingua inglese, una letteratura che si è andata sviluppando nel corso di tre secoli e che soltanto nella seconda metà del Novecento ha raggiunto la piena maturità. Una letteratura che, fin dagli inizi, ha dovuto misurarsi con un ambiente nuovo e sconosciuto, climaticamente ostile, dominato dal vuoto, dall’assenza e dal concetto di sopravvivenza, quel survival caro a Margaret Atwood che, mitopoieticamente, trasforma lo scrittore canadese in una sorta di Teseo costretto a misurarsi con un Minotauro ultramarino.
LA PRESENZA OSSESSIVA dell’elemento naturale testimonia un processo circolare che unifica e rende omogenee esperienze altrimenti diverse. A ripercorrere la storia letteraria del Canada, infatti, tanti sono, nell’ambito della poesia come in quello del romanzo, i modelli e le tendenze da farla apparire, a una prima lettura, derivativa. Tuttavia dietro queste «false facciate» – per usare la metafora di Sinclair Ross, il principale esponente del Modernismo – si nasconde uno sforzo unitario che segue uno sviluppo paradigmatico ben preciso. Le tre fasi in cui si articola – la coloniale fino al primo dopoguerra; quella della letteratura nazionale e, infine, a partire dagli anni sessanta, il Rinascimento canadese – sono altrettanti momenti di un unico discorso che mira ad adattare, a una realtà così nuova e così diversa, gli strumenti di una tradizione che non può essere cancellata e rimossa. Altrettante tappe di un viaggio tanto geografico quanto esistenziale, in cui prendere coscienza del territorio equivale a prendere coscienza di se stessi. Un viaggio che segue una linea centrifuga dal centro verso la periferia, dalle città alla wilderness, al bush, alle praterie ma, anche e soprattutto, dalla condizione di inglesi (e, in seguito, di europei) a quella di canadesi, dal certo all’ignoto per arrivare a qualcosa di nuovamente e definitivamente certo.
ECCO ALLORA CHE LA POESIA e il romanzo, come anche in parte il teatro, divengono il riflesso di questa condizione, ne scandiscono il ritmo e i movimenti. Si passa così dallo stupore rapito e attonito che suscita l’impatto con la bellezza terrificante del Québec del primo romanzo canadese, The History of Emily Montague, di Frances Brooke, pubblicato nel 1769, all’osservazione meticolosa e attenta della flora e della fauna dell’Ontario di Susanna Moodie e Catherine Parr Trail, alla descrizione della lotta per strappare terreni coltivabili al bush e al marsh di Frederick Philip Grove, alla trasformazione del «landscape» in «inscape» da parte dei poeti della Confederazione nella seconda metà dell’Ottocento, alla contrapposizione città/wilderness su cui si incentrano i romanzi di Sinclair Ross, Margaret Atwood, Margaret Laurence e Marian Engel.
NON È UN CASO che a farsi portavoce di tali sentimenti contradditori siano spesso donne che parlano di donne, quasi a sottolineare l’importanza del carattere femminile del Canada, di questa madre terra che corteggia, respinge e suscita, al contempo, sentimenti misti di attrazione e repulsione, di odio e amore. Come non è un caso che l’elemento indigeno, il nativo, entri immediatamente a far parte del pantheon di eroi di una nuova mitologia – e di una nuova cultura – che vuole fondere passato e presente, etnie e sistemi culturali, in un percorso che va dalla tragedia Ponteach, or the Savages of America di Robert Rogers a The Huron Chief e Tecumseh dei poeti Adam Kidd e Charles Mair, a Wacousta e Gone Indian dei romanzieri John Richardson e Robert Kroetsch, alle opere di cui parla Elena Lamberti (in questa pagina). Il romanzo soprattutto diviene il palcoscenico di uno scontro epico tra l’essere umano e la natura, tra la volontà fallimentare di domarla e il rifiuto di assoggettarsi, scontro che si risolve sistematicamente in una sconfitta. E ancora perché oppone al sogno la realtà, alla trance ottimistica del poeta, immerso nella contemplazione eulogistica del mondo naturale come rappresentazione dell’opera divina, la visione cupa e pessimistica di un destino meno esaltante, i cui protagonisti, avvolti dalla solitudine, sono vittime predestinate.
Questo fa nascere la necessità di ripensare la propria esperienza nei termini di una ritrovata armonia e di un corretto rapporto con l’ambiente circostante. E si traduce nell’esaltazione dell’elemento locale e di un rinnovato spirito del luogo nonché in un senso di appartenenza che si fa più vivo man mano che nuove voci, nuovi apporti culturali e linguistici si affacciano alla ribalta.
IL PROBLEMA DELL’IDENTITÀ diviene, quindi, l’altro grande motivo caratterizzante. Una identità che non può essere esclusivamente quella anglosassone; anzi la letteratura canadese diviene tale, abbandonando le connotazioni coloniali e acquistando una propria autonomia, nel momento in cui prende coscienza del suo essere multietnica e multiforme.
In tal senso, l’ultima parte del Novecento – quella del Rinascimento canadese – può e deve essere interpretata come un metaforico rimettersi in viaggio attraverso i meandri della storia e della memoria, del linguaggio e dei generi, alla ricerca di più solide e profonde radici.
Tale viaggio è accompagnato da un accresciuto «nazionalismo» culturale sostenuto dal governo con l’intento di valorizzare la produzione locale; la definizione di un canone teorizzato da critici quali Northrop Frye, Marshall McLuhan, Warren Tallman, Frank Davey, Robert Lecker, Linda Hutcheon; una più marcata caratterizzazione al femminile – da Margaret Atwood a Alice Munro, da Mavis Gallant a Margaret Laurence, da Marian Engel a Audry Thomas – che nelle tematiche della condizione femminile individuano la metafora della storia del Canada; la ricerca di una identità letteraria come dimostrano Mordecai Richler, Rudy Wiebe, Michael Ondaatje, Robertson Davies; un più frequente ricorso alla forma del racconto, con decine di antologie; il recupero in poesia della tradizione del long poem; infine la rivoluzione sessuale come reazione al soffocante moralismo calvinista che trova in Leonard Cohen e nel suo Belli e perdenti il proprio archetipo.
UN MOSAICO DI DIVERSITÀ e particolarismi, lo stesso che caratterizza la nutrita schiera di autori che partecipano alla Buchmesse 2021 – Marguerite Andersen, Michael Christie, Michel Crummis, Naomi Fontaine, Mary Lawson, Catherine Maurikakis, Waubgeshig Rice, Vivek Shraya, tra i tanti – la cui ricchezza e vitalità non conoscono eguali e, in virtù dei quali, l’artista ritorna settler e come il pioniere continua a trasformare uno spazio geografico e letterario ormai diversamente articolato nella straordinaria metafora di Frye.
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