Alias

Leopold Lindtberg al cinema ritrovato

Leopold Lindtberg al cinema ritrovato

Il regista Nel programma di Cinema Ritrovato di Bologna: «Leopold Lindtberg: la Svizzera e il Mondo», selezione di cinque film curata dal direttore della Cineteca svizzera Frédéric Maire

Pubblicato circa un anno faEdizione del 1 luglio 2023

Nel programma di Cinema Ritrovato di Bologna, si intitola «Leopold Lindtberg: la Svizzera e il Mondo», la selezione di cinque film curata dal direttore della Cineteca svizzera Frédéric Maire ma si sarebbe potuta anche intitolare «Omaggio al Praesens-Film». Fondata a Zurigo nel marzo del 1924 dall’ingegnere di origine austro-ungarica Lazar Wechsler e dal pioniere dell’aeronautica svizzera Walter Mittelholzer, la società, ancora oggi in vita come distribuzione, è la casa di produzione più longeva e prestigiosa della Svizzera soprattutto tra gli anni Trenta e Cinquanta dove ha riscosso dei lusinghieri successi di carattere internazionale.

Legata sin dagli inizi al cinema d’impegno politico con due opere come il documentario sull’aborto Frauennot – Frauenglück (1929/30) di Eduard Tissé a cui collaborò al montaggio anche Sergej M. Ejzenštejn oppure alla coproduzione del capolavoro del cinema proletario weimariano Kuhle Wampe oder: Wem gehört die Welt? (1932) di Slatan Dudow (e Bertold Brecht), l’azienda zurighese ha proseguito nella sua mission politico-ideologica, producendo tutti e diciotto i lungometraggi di Leopold Lindbergh, uno dei massimi registi ad oggi del cinema svizzero. Paradossalmente, però, (ma non tanto per l’epoca) Lindtberg (il cui vero nome era Lemberger, 1902-1984) era un viennese che si era trasferito a Zurigo dopo la salita al potere in Germania dei nazionalsocialisti e che da allora ha lavorato, per quindici anni, al maggior teatro della città lo «Schauspielhaus». Parallelamente dal 1935 in poi aveva iniziato la carriera cinematografica, con un team, quasi fisso, di collaboratori, alternandosi tra opere di sentito impegno politico-sociale e ottimi polizieschi, come l’eccellente Wachtmeister Studer (1939) interpretato dall’«Emil Jannings svizzero», Heinrich Gretler, adattamento dell’omonimo romanzo (1936) dello scrittore maudit Friedrich Glauser.

Tre sono i film engagé presenti a Bologna che, alla lontana, sono stati accostati allo stile del neorealismo italiano, tra cui l’antesignano, coraggiosissimo Marie-Louise (1944) in cui ancora in piena guerra mondiale con la Svizzera neutrale ma accerchiata dalla Germania, si affrontava il tema altamente spinoso dell’emigrazione e dell’accoglienza dei profughi sulla base della storia di una bambina francese portata in Svizzera per sei mesi dalla Croce Rossa dopo aver vissuto i bombardamenti devastanti nella sua città natale, a Rouen – il copione di Richard Schweizer, collaboratore fisso o quasi di Lindtberg come il direttore della fotografia Emil Berna e il musicista Robert Blum, vinse poi l’Oscar per la migliore sceneggiatura originale nel 1946. Sempre sul tema dei rifugiati, il successivo Die letzte Chance (L’ultima speranza,1945) narra l’odissea nell’Italia del nord di un gruppo internazionale di profughi e di prigionieri di guerra anglo-americani fuggiti dalla prigionia nell’intento di raggiungere la salvezza in Svizzera nei convulsi giorni del settembre 1943 seguiti alla caduta del Fascismo e al cambio dell’alleanza con gli alleati. Un film certo importante e commosso che ricevette al Festival di Cannes del 1946 il Gran Prix ma che forse a rivederlo oggi entusiasma un po’ meno che all’epoca. Stesso tono di base fortemente documentario, massimo rispetto delle lingue parlate dai singoli, lo ritroviamo anche in Die Vier im Jeep (Quattro in una jeep, 1951) diretto a quattro mani con l’attivista inglese Elizabeth Montagu. Lindtberg torna nella sua nativa Vienna per narrare le vicende di un gruppo di militari – un americano, un russo, un francese e un inglese, da ciò il titolo – che hanno il compito di controllare i quattro settori in cui era ancora divisa la città. I tre occidentali però entrano in conflitto con l’ufficiale sovietico quando un prigioniero di guerra austriaco in mano all’URSS fugge poco prima della sua liberazione ufficiale e si nasconde nell’appartamento della moglie, con la CPU alle calcagna – malgrado un voluto sforzo di neutralità il film non venne ben accolto dai sovietici. Comunque, Orso d’oro alla prima edizione del Festival di Berlino, clima fosco e avventuroso alla Carol Reed di The Third Man (1949) a cui anche Elisabeth Montagu aveva partecipato, per Die Vier im Jeep trattasi di opera assolutamente da non perdere, così come ci avrebbe fatto piacere (ri)vedere più film di Lindtberg.

Su una bellissima nota nostrana (per la regia di Luigi Comencini) si chiude l’omaggio bolognese al Praesens-Film: Heidi (1952, titolo italiano: Son tornata per te) resta negli anni e in assoluto la migliore trasposizione del celebre romanzo omonimo per l’infanzia (1880) di Johanna Spyri. Il team che ha aiutato Comencini a realizzarlo è lo stesso usato da Lindtberg (e che probabilmente avrebbe potuto firmare la regia), con in più Heinrich Gretler a interpretare la figura del nonno burbero e buono – il risultato è eccellente e già dimostra tutta la mano del regista milanese nel sapere dirigere i bambini. Come della Svizzera a poter fare dei buoni film.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento