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Léopold Chauveau, al paese dei mostri

Léopold Chauveau, al paese dei mostriLéopold Chaveau

La mostra Le fantastiche creature dell'artista francese in esposizione a Roubaix fino al 17 gennaio 2021

Pubblicato quasi 4 anni faEdizione del 12 dicembre 2020

Grapus, il piccolo mostro dalla testa di rana, le manine da bambino, le gambette con i piedi a zoccolo di cavallo, è rannicchiato sul suo corpo a uovo di bronzo martellato. Con i grandi occhi obliqui e la bocca a fessura, né triste né allegra, guarda un mondo che non capisce. Quasi un autoritratto psicologico del suo autore costretto a vivere una vita che non gli appartiene. Sono innumerevoli le strane creature che popolano l’universo parallelo di un medico per forza che li inventa per liberare l’inconscio e rendere vivibile il suo quotidiano. Léopold Chauveau (1870-1940) si rifugia con la sola forza della fantasia, senza nessuna preparazione artistica, tra le creature che disegna sulla carta, scolpisce in creta, gesso, bronzo, creandosi dei compagni di strada affidabili anche se spesso misteriosi. Sono pochi quelli a cui ha dato un nome. Marfou dalle grandi narici e la larghissima bocca sembra infischiarsene di tutto. Tapahuac con il viso allungato, gli occhi all’ingiù, le grandi orecchie da bassotto, è decisamente depresso.

Al Musée d’Orsay di Parigi, grazie alla donazione del nipote, è stata allestita una mostra con cinquecentoventisei disegni e quarantotto sculture, curata da Ophélie Ferlier-Bouat e Leïla Jarbouai, con le scenografie di Martin Michel, poi sbarcata al Musée André Diligent di Roubaix (in attesa della riapertura, visitabile al momento online). Il piccolo Léopold sogna di diventare pittore, scultore, scrittore ma, figlio di medico, è costretto a seguire la professione paterna.

Nato a Lione, porta a termine gli studi di medicina alla Sorbona di Parigi, dove comincia a esercitare. Le sue prime sculture sono del 1905, quando abita a Versailles, vicino al pittore e scultore nabi Georges Lacombe. Fin da bambino era impressionato dal bestiario mostruoso delle cattedrali medievali, dall’universo fantastico di Jérôme Bosch e dalle incisioni di Pieter Brueghel il Vecchio. Il mostruoso diventa da subito il leitmotiv della sua produzione con la serie della Maison des monstres. Ibride, le sue creature sono spesso impressionanti, goffe, quasi sorprese della loro stessa presenza. Malgrado la loro singolarità, i mostri scolpiti dall’artista si inseriscono nella storia dell’arte, come le gargouille, l’arte giapponese o quella sud-americana precolombiana, che Chauveau ha modo di ammirare al museo etnografico del Trocadéro.

Sono rigurgiti rimossi di una realtà mal digerita di cui l’artista si libera che gli permettono di mostrare nei disegni il lato più vivo ma anche più ironico del suo carattere. Vicino alla vita di tutti i giorni, ai bambini, alla storia.
Se l’esercizio della medicina gli ripugna, al fronte, durante la prima guerra mondiale, si dedica con tutto se stesso a curare i feriti. Testimone degli orrori dei combattimenti, attraversa un periodo di lutti per la morte della moglie, del figlio Pierre per annegamento e del secondo Renaud per un’operazione all’appendicite. Si risposa. Il 28 maggio 1917 manda una cartolina al figlio maggiore Olivier con il disegno in bianco e nero di un piccolo essere mostruoso con la testa a falce di luna e il mento appuntito, accovacciato su un terreno scosceso, simile a una trincea, ricordando nel messaggio gli altri figli Gaspard e Fernand. Comincia a scrivere le fiabe per bambini segnato dalla duplice morte dei suoi primi figli e non edulcora la dura realtà. I suoi eroi muoiono e gli annegati sono spesso presenti anche nei disegni per adulti che incontrano l’ammirazione di André Gide e della sua compagna Maria Van Rysselberghe.

Il secondo matrimonio con l’infermiera Madeleine Lamy gli assicura una sicurezza economica che gli permette di abbandonare la medicina e di consacrarsi completamente all’attività artistica. Il suo amico d’infanzia, professore e giornalista Paul Desjardins, lo convince a intervenire agli incontri letterari di Pontigny, dove conosce e stringe durature amicizie con André Gide e André Malraux.

Scrive e illustra raccolte di racconti per bambini. Le favole occupano una parte importante nel suo lavoro. Nello scritto autobiografico L’enfant qui rêve, confessa: «Il mio La Fontaine era il solo libro scolastico che aprivo volentieri». Senza la solita morale, ironica e spesso crudele, le sue storie mettono in scena degli animali che affrontano peripezie fantastiche. Come in Le cure meravigliose del dottor Ippopotamo, dove un elefantino nero si incammina sotto le grandi zampe di un enorme ippopotamo.

O nella storia di Roitelet, in cui una bambina corre con i capelli al vento tra due grandi alberi inseguita dall’uccello. O nelle illustrazioni delle favole di la Fontaine dove topini accovacciati per terra guardano in alto un loro confratello che spunta da una grande palla rossa. Ma si riaffaccia anche la crudeltà delle favole classiche. Nella storia del grosso albero mangiabambini, un gigante con la scure in mano apre il tronco e scopre un folto gruppo di bambini che vi erano imprigionati. Le sue storie per l’infanzia hanno spesso come protagonisti gli animali. Illustra anche la Bibbia, il Roman de Renart, epopea del medioevo che riscrive e modernizza in Roman de Renard.

Nei suoi paesaggi mostruosi, antidiluviani e desertici, si muovono delle creature dalle caratteristiche similumane occupate in strane attività. Sullo sfondo giallo uovo, creature dai lunghissimi colli e dai volti come scimmie, uccelli, cani, umani ma con un solo occhio che spicca bianco sul blu, con volto umanoide e una barba-capigliatura, sembrano agitarsi in movimenti obliqui senza riuscire a liberarsi dalla sostanza fluida da cui emergono. In un’altra tavola, un essere solo viso e gambe con pinne azzurre sta per slanciarsi in un tuffo. Inchiostro nero e acquarello su carta, un albero con appesi dei bulbi oculari come frutti che pendono, è osservato con disprezzo dalla testa di un cane dal lungo collo.

Antimilitarista, contrario agli estremismi e alla esplosione del fascismo, vicino alle idee del comunismo ma senza mai aderire al partito, si impegna con altri intellettuali per firmare la risposta al Manifesto degli intellettuali fascisti pubblicato nel 1935 e la denuncia del colonialismo. In questo periodo disegna molte tavole in bianco e nero su Le Bouffon Babriot, chiaro riferimento a Hitler. Un piccoletto impettito tutto vestito di nero passa in rassegna dei soldati che gli fanno il saluto. In un’altra tavola contro la guerra dei soldati alzano le spade davanti a un muro con dietro dei pini, un cimitero, in omaggio a una vedova in nero con accanto i figli.

Alla fine degli anni trenta, ammalato di reni, si lascia andare al pessimismo , rompe definitivamente con il comunismo alla firma del Patto tedesco-sovietico di non aggressione del 1939. Alla dichiarazione della guerra, redige un giornale e scrive solo dei brevi testi intitolati Cartes postales.

Il 27 settembre 1939 dichiara: «Io disegno dei mostri, gentili, dolci, inoffensivi, ridicoli in confronto dei veri mostri viventi che adesso sconvolgono il mondo. Morirà pochi mesi dopo.

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