Ci sono dei libri che appaiono nella vita del loro autore come una rivelazione o una conferma o un compimento o un nuovo inizio. Colpa e tempo. Un esercizio di matematica esistenziale (Neri Pozza, pp. 111, euro 14) è l’insieme di tutto questo. Convergono qui il rigore teoretico di Eugenio Mazzarella, la sua incessante tensione esistenziale, uno stile che sembra seguire i contorni del mondo e descriverne come in un dipinto le fattezze.

L’INIZIO È FULMINANTE: «La colpa è il tempo: il venire-al-tempo, lo stare-al-tempo, l’esservi esposti, porta con sé la colpa, l’esser-colpevole di chi vi sta, di chi lo scopre – l’uomo». A mostrare che l’abitare nel tempo sia anche una colpa è l’intera esistenza dei viventi, del divenire che nulla lascia di stabile ma tutto trasforma, sempre. È la tesi di Anassimandro, che la termodinamica conferma pienamente.
Questa struttura si declina come «solitudine, una separazione dall’Integro, come colpa originaria», come la distanza e la differenza che caratterizzano la coscienza umana rispetto a tutto il resto. Ed è anche tale separazione dall’intero nel quale siamo immersi a costituire una colpa che Mazzarella legge in chiave biblica come «peccato conoscitivo». Il sentirsi-in-colpa, l’essere-in-colpa, diventa «il mathema della vita, ciò che la vita conosce in anticipo di sé come contenuto concreto del suo orizzonte esistenziale».

A partire dalla sua fede cristiana, dal fatto che «non c’è etica se non nella divisione tra un essere e un fare», Mazzarella rifiuta le interpretazioni dell’esser colpevole date sia da Leopardi sia da Heidegger, poiché per esse la colpa non è un fatto morale ma ontologico, sta nel fatto stesso di esistere e non dipende da come si esiste, da quello che si fa, dall’agire. La distanza che su questo punto Mazzarella marca con due autori che sono per lui fondamentali chiarisce bene l’irriducibilità della prospettiva biblica e delle fedi monoteistiche rispetto a molta filosofia contemporanea.
Con il suo testo più recente Mazzarella compie e dà nuovo slancio alla teoresi che era già chiara nei suoi primi due libri, ora riediti da Carocci: Nietzsche e la storia. Storicità e ontologia della vita (pp. 212, euro 22) e Tecnica e metafisica. Saggio su Heidegger (pp. 330, euro 32).

NEL PRIMO, L’AUTORE aiuta a comprendere l’inquieta luce che il pensiero di Nietzsche getta sul presente. E lo fa prendendo posizione «con Nietzsche contro Nietzsche», che è la condizione per comprendere l’itinerario nietzscheano come ritorno all’originaria matrice del pessimismo romantico dal quale il filosofo era partito dopo aver però attraversato con lucidità la finitudine umana. Limite e insieme potenzialità degli umani è la loro capacità di ricordare e di dimenticare. Il gioco di ricordo e oblio è parte della più ampia struttura e condizione che Mazzarella chiama «trofismo storia/vita», il fisiologico equilibrio tra l’esistere e la coscienza di esistere, della quale è condizione, forma, espressione ed esito la piena consapevolezza della finitudine, del fatto che il vivente che c’è ora è il vivente che non c’era ed è il vivente che è destinato a non essere più. Il prospettivismo nietzscheano è per Mazzarella questa comprensione della vita «come ontologia della finitezza». In realtà la consapevolezza del limite umano ha accompagnato l’intero cammino di Nietzsche, che ha cercato di riscattarlo in una attiva forma dello stare al mondo, della quale è parte proprio la rimemorazione della finitudine biologica che è figura della colpa insita nell’esserci, come la filosofia sa da Anassimandro a Heidegger. Quel nullo fondamento di una nullità che secondo Essere e tempo è l’umano diventa davvero colpevole quando si sente del tutto separato e superiore rispetto all’intero del quale è parte, con la conseguenza di devastarlo e tuttavia illudersi di poter ancora vivere.

COME SI VEDE, se i grandi temi gnostici della colpa e della pena sono stati affrontati tematicamente da Mazzarella solo nelle opere più recenti, la loro genesi è nel suo itinerario antica. La consapevolezza teoretica e insieme esistenziale «dell’infinito dolore che trascorre sulla terra e della scarna felicità» è infatti nel filosofo italiano talmente intima da chiudere Tecnica e metafisica con queste parole: «per quanto ne sappiamo, il più vero mestiere dell’uomo ha ancora da essere l’attivo dolore di esistere». Mestiere che Mazzarella ha costantemente praticato nella sua azione di filosofo, politico e poeta.