Dopo una serie di mirabili iniziative, la Fondazione Leonardo Sinisgalli, con sede a Montemurro, nella «dolce provincia dell’Agri», dà ora alle stampe due ponderosi volumi intitolati Il labirinto di Leonardo Sinisgalli: 1.Saggi e articoli, 2.Cronologia, opera, indici e documenti (pp. XXVI-294 e 318, € 40,00). Biagio Russo, ex direttore della Fondazione, ha pubblicato in passato vari contributi, tra cui nel 2018 lo splendido catalogo Leonardo Sinisgalli e i bambini incisori, in cui si rievoca il rapporto di collaborazione tra l’autore lucano e gli alunni della scuola elementare di S. Andrea di Badia Calavena, sui Monti Lessini, che riuscirono nell’intento, tramite l’operato del maestro Gianni Faè, di stampare un giornale artigianale, «Piccole Dolomiti», e alcune plaquette memorabili, dedicate ai più importanti poeti del tempo. Ora Russo accoglie una serie di suoi interventi mirati, vòlti a investigare singoli aspetti dell’opera di Sinisgalli che, dopo i tre «Oscar» Mondadori dedicati rispettivamente alle poesie, ai racconti e ai saggi di Furor mathematicus, sembra stia conoscendo un discreto ritorno di interesse.

Fautore di quella linea tesa a coniugare umanesimo e retaggio scientifico, Sinisgalli, allievo di Tullio Levi-Civita, Enrico Fermi, Francesco Severi, Guido Castelnuovo, Luigi Fantappié, per poco non fece parte dell’eletto gruppo dei «ragazzi di via Panisperna», asserendo di «avere due teste, due cervelli, come certi granchi che si nascondono sotto le pietre». Preferì allo studio dei neutroni lenti e della radioattività artificiale il richiamo delle Muse, nella fattispecie di una sgraziata Calliope corviforme, rimirata a gracchiare «tra le foglie larghe delle querce» e a nutrirsi «di ghiande e di coccole». Nei suoi versi e nelle sue prose la campagna lucana ondeggiante tra «luce arida» e «pascoli magri» si alterna a rutilanti quartieri metropolitani attraversati come in delirio da un essere introverso che cerca «riparo tra le pietre», con un quadernetto in tasca. Orazio va a braccetto con Lautréamont, i reperti vascolari di origine greca si stagliano sullo sfondo dei quadri allucinati di Max Ernst e Masson (si pensi alla definizione continiana di «surrealismo meridionale»). Le gemme che spuntano sui salici meritano la stessa attenzione riservata a equazioni e esercizi di geometria, in uno stile che andrà sempre più scarnificandosi, arrivando alla mortificazione del distico, dell’epigramma. All’ascissa, al ghirigoro subentrerà l’avvilimento dello scarabocchio.

Oltre a ricordare l’apprendistato di Sinisgalli che dai collegi di Caserta e Benevento approda a Roma dove si laurea in ingegneria industriale per poi espatriare a Milano (si forma così il quadrilatero Montemurro, Caserta-Benevento, Roma, Milano), si approfondiscono i rapporti con altri autori lucani, in particolare con il più giovane Rocco Scotellaro. Quest’ultimo ambisce a diventargli amico dopo aver letto Vidi le Muse e vari interventi apparsi nei periodici, anche se Russo sostiene che la «sua è un’ammirazione condizionata, circospetta». Il saggio è corredato da una serie di fotografie, scattate nell’agosto 1949 a Montemurro, paese natale di Sinisgalli, in cui i due poeti sono immortalati con altri amici, impegnati nel tentativo di emanciparsi dall’immobilismo che si respirava in quegli anni in Basilicata, recuperandone al tempo stesso, in ambito sia lirico sia antropologico, le espressioni legate alle radici contadine (si veda, oltre a vari servizi apparsi in «Civiltà delle macchine», il reportage poetico L’albero di rose, confluito nella raccolta organica La vigna vecchia del 1956, o la prosa esplicativa di Paese lucano, uscito nel ’65 con fotografie di Mimmo Castellano). Si rievoca anche il sostegno al poeta calabrese Lorenzo Calogero, concretizzatosi attraverso la prefazione a Come in dittici e l’intercessione al Premio Villa San Giovanni.

Si passa poi ad analizzare l’aspetto legato alla direzione di riviste aziendali come «Pirelli» e «Civiltà delle macchine» (ma molto moderno è anche il periodico di design «La botte e il violino»). Sinisgalli fondò e diresse dal 1953 al 1958 questa straordinaria rivista che si proponeva di far convivere e dialogare cultura umanistica e scientifica. Le collaborazioni furono prestigiose: da Ungaretti a Gadda, da Buzzati a Moravia, da Mafai a Burri, da Portoghesi a Dorfles. Gli argomenti affrontati sono innumerevoli e dal taglio interdisciplinare: dall’aeronautica alla cibernetica, dal design all’economia, dall’architettura alla matematica. L’aspetto stesso di «Civiltà delle macchine» è particolarmente ricercato, presentandosi come un in-folio che in copertina riporta opere di rinomati artisti o particolari ingranditi di immagini scientifiche riecheggianti composizioni informali e astratte. Russo si sofferma sulla rubrica «Il semaforo», che ospitava il resoconto di alcune visite in fabbrica di poeti e pittori organizzate da Sinisgalli, nonché versi dello stesso autore, spesso non firmati. Ma si passano in rassegna anche la chimica e i Ritratti di macchine, come si intitola la celebre plaquette pubblicata, a cura di Gio Ponti, dalle Edizioni di Via Letizia nel 1937, che sembrano rievocare le machines célibataires di Raymond Roussel, in seguito inventariate da Duchamp.

Viene rammentato inoltre che il primo a usare il termine «giallo» per l’atmosfera di suspense che si respira nei romanzi polizieschi fu proprio Sinisgalli in occasione della recensione allestita sull’«Italia letteraria» del 1° dicembre 1929, come ammesso anche da Camilleri. In questo contesto il poeta lucano prese in esame i primi quattro titoli (S. Van Dine, E. Wallace, R.L. Stevenson e A.K. Green) di una nuova collana mondadoriana, intitolata «I libri gialli» dal colore della copertina. Nell’articolo si attribuì al giallo quella peculiare sfumatura di senso con cui generalmente si designa un libro o un film che dà i brividi. D’altro canto il termine si adopera solo nel nostro paese e non esiste corrispettivo all’estero.

Di particolare interesse i saggi dedicati all’attività pubblicitaria intrapresa per vari committenti: dalla Linoleum alla Olivetti, dalla Pirelli alla Finmeccanica, dall’Eni all’Agip. Per l’Alfa Romeo il mitico nome della Giulietta nasce da una boutade della compagna Giorgia de Cousandier, sposata nel 1969. Ma è soprattutto negli interventi riguardanti aspetti poco conosciuti della biografia sinisgalliana che il lavoro si contraddistingue. Si pensi ai rapporti con il figliastro Filippo Borra e alla comune scoperta del disegno, nonché al legame sentimentale con Agnese De Donato, la libraia del celebre Ferro di Cavallo di via Ripetta a Roma, frequentato da Novissimi e figure d’eccezione come Ungaretti, Tzara, Pound, Guillén, De Libero, Frassineti, Bertolucci, Pasolini, ma anche da artisti quali Burri, Afro, Capogrossi. Prima di morire, la libraia affiderà la propria collezione di memorabilia sinisgalliani alla Fondazione, compresi il carteggio e i disegni che il poeta le aveva inviato durante i suoi numerosi viaggi all’estero, talvolta riprodotti in facsimile. Particolarmente significative le sequenze poetiche intitolate Annunciazione, Il canto della pescivendola e Una piccola sporca storia d’amore che Sinisgalli dedica alla giovane interlocutrice, con esiti piccanti piuttosto anomali nella sua produzione.

Chiude il primo volume la testimonianza relativa al rinvenimento di un rarissimo esemplare delle 18 poesie, titolo inaugurale, edito nel 1936, del marchio editoriale All’Insegna del Pesce d’Oro di Giovanni Scheiwiller, acquistato dalla Fondazione presso la Libreria Pontremoli di Milano. Il nome dell’editore deriva da quello di una trattoria toscana che si trovava presso la città meneghina, dove l’ascetico editore di origine svizzera portava a pranzo gli amici intellettuali. Il formato minuscolo (in-24°) del libriccino brossurato alla francese dipendeva dal fatto che la carta era razionata. Le 18 poesie, nonostante la loro esiguità, conobbero una fortuna critica considerevole, interessando Ungaretti e De Robertis. Sono infine presenti nel secondo volume una dettagliata cronologia, accompagnata da una ricca iconografia, e un esauriente apparato bibliografico. Non resta che congedarci con una delle Trenta proposizioni accolte in Horror vacui e qui riprodotte: «La poesia non è una nascita, è un accidente, un disastro».