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Leonardo inventore del cinema

Leonardo inventore del cinemaSan Girolamo nel deserto, opera incompiuta di Leonardo

Mostra Il San Gerolamo svela i suoi misteri al castello francese

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 16 luglio 2022

Leonardo da Vinci, com’è noto, ha inventato tutto. Anche la locomotiva a carbone, dopo le spiegazioni dal futuro di Benigni e Troisi in Non ci resta che piangere. E, come testimonia il San Gerolamo incompiuto, ora in bella mostra al Château du Clos Lucé, Leonardo è anche inventore del pre-cinema.

Riapparsa e ricomposta all’inizio dell’800, la tavola lignea con la raffigurazione in tempera grassa dell’eremita nel deserto sembra un potente negativo fotografico: leone in primo piano e corpo del santo «sfocati », ma la testa minuziosamente messa a fuoco, con ogni vena e ruga anatomicamente inseguita e descritta. Testa-teschio, quasi ritratto post mortem, che prende rilievo impressionante e conquista la terza dimensione in una deserto figurativo bidimensionale, talora appena graffito o, come nel caso del leone (l’animale amico e grato in tutte le raffigurazioni di San Gerolamo), astratto in una decorativa posa pre-liberty.

Pittura-dagherrotipo? Guido Cornini, concervatore dei Musei Vaticani, che hanno prestato l’opera nel 2019 a New York, poi a Mosca e per tutta quest’estate al castello della Loira dove Leonardo trascorse gli ultimi, fecondi anni di vita, ospite di François 1er, sorride all’idea, finora mai presa in considerazione: «Effettivamente, i contorni del leone sono tracciati sommariamente, con sovrapposizioni di qualche linea curva, mentre il movimento in avanti della gamba piegata del santo e lo scorcio prospettico del braccio teso, che definisce il volume spaziale entro cui s’iscrive la figura, contribuiscono a scolpire il corpo dell’eremita nello spazio ».

È stata forse la statuarietà anomala della testa rispetto al resto a guidare la mano artisticamente sacrilega che aveva dissezionato il quadro in due parti, finite nella bottega di due rigattieri: la testa, divenuta sedile di sgabello (sedersi su un capolavoro di Leonardo non è il sogno di tutti ?) e, il resto, l’anta d’un armadio. Ricomposto e sottoposto a laboriosi restauri, il quadro, eseguito forse nel periodo fiorentino (1478-81), da cui le analogie con l’Adorazione dei magi agli Uffizi, o nel periodo milanese (1482-99), sfavilla solitario nell’ultima dimora francese, dov’è stato accompagnato dalla direttrice dei Musei Vaticani, Barbara Jatta: unica gemma originale, ma temporanea, d’un museo che è la festa del remake, dalla Galleria dove tutto Leonardo rivive in una serie di proiezioni immersive al grande Parco, che ricrea i paesaggi dei dipinti e le macchine, belliche o civili, del Leonardo ingegnere.

Con numerose rifrazioni, quest’estate. La prima è a Amiens, sulla via di Londra, dove il gran parco che costeggia il fiume è diventato un’oasi di verde e d’arte: un’associazione intelligente ha trasformato negli anni quel che era un deposito di tutto, un mega-bidone di spazzatura a cielo aperto, in un magnifico polmone verde, che si percorre un po’ a piedi un po’ in barca, come l’oasi acquatica di Grado, e dove su concorso fioriscono in vari punti ogni anno installazioni d’artista.

A Aix-en-Provence, invece, Italia discreta percorre a ritroso il procedimento leonardesco del quadro fotografico: al Musée Granet (dove risplendono rari capolavori di Vermeer) i quadri a soggetto italiano dell’artista ottocentesco cui si deve il museo omonimo sono il testo a fronte di fotografie d’un altro innamorato dell’Italia, Bernard Plossu. Ma dove l’Italia torna a trionfare è a Parigi, al Musée de Cluny, che tra le meraviglie medievali negli spazi definitivamente restaurati espone per l’imminente riapertura microcapolavori del Made in Italy, in attesa di annunciare l’acquisizione, grazie anche a un crowfund, del Cristo crocifisso d’avorio di Pisano.

Gran salto dal Medioevo a oggi, alla «Cité de la gastronomie» inaugurata a Dijon sulle fondamenta d’un ospedale del 1204: otto secoli dopo, gastro-maratona nel suo museo che espone i piatti più tipici, ma… di cartapesta. Come se fossero un trompe-l’oeil d’un futuro Leonardo, destinato a stomaci – e oggi ce ne sono – di plastica.

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