Leonardo Favio, mito poliedrico
Il ricordo Dieci anni fa se ne andava l'artista argentino, regista, cantante, militante
Il ricordo Dieci anni fa se ne andava l'artista argentino, regista, cantante, militante
Buenos Aires, 5 novembre 2012. L’Argentina si prepara a salutare per sempre l’artista Leonardo Favio. Il popolare attore, regista e cantante capace di lasciare un segno nella cultura popolare del Paese e dell’intera America Latina con il suo corpo, il suo sguardo e la sua voce è morto all’età di 74 anni. Da diversi giorni è ricoverato nel Sanatorio Anchorena dopo un peggioramento del suo delicato stato di salute. Fuad Jorge Jury (questo il nome di battesimo) è nato il 28 maggio 1938 a Luján de Cuyo, provincia di Mendoza, sud-ovest del Paese. Poche ore dopo la scomparsa, viene allestita una camera ardente nel Congreso de la Nación. A mezzanotte, con il viso coperto da scuri occhiali da sole, nel Salón de los Pasos Perdidos del Parlamento, arriva Cristina Fernández de Kirchner. La «presidenta de la Nación Argentina» rimane per dieci minuti vicino la bara che custodisce il corpo di Favio. Con lei ci sono alte cariche dello Stato e ministri, funzionari di governo ed esponenti dell’opposizione, deputati, attori, registi e musicisti. Leonardo Favio, militante del Partido Justicialista, viene salutato da un coro che intona la Marcha peronista ed inneggia «Viva la Patria» e «Viva Perón».
Alle ore 15 del giorno successivo la salma dell’artista, tra le lacrime e gli applausi di migliaia di uomini e donne, viene inumata nel cimitero della Chacarita, nel tempio della Sadaic, la società argentina degli autori e compositori di musica. A inviare una corona di fiori anche Diego Armando Maradona. In uno speciale della rivista Caras y Caretas dedicato a Favio nel decennale della morte, il giornalista Roberto Parrottino scrive: «Maradona piangeva e dopo ogni caduta si rimetteva in piedi con le canzoni di Favio in sottofondo. Si emozionava con Fuiste mia un verano. Favio era, parola di Diego, un amico a sua insaputa». Quando Maradona – siamo nel 1997, sua ultima stagione con la camiseta azul y oro del Boca Juniors – andrà a vederlo in un concerto al teatro Astros della capitale, Favio, con il numero dieci argentino al suo fianco, racconterà a Crónica TV: «La presenza di Diego mi legittima come autore e cantante. È la cosa più bella che potesse capitarmi nella mia vita. È stata una notte emozionante che non dimenticherò mai».
Profondo era il legame di Favio con il mondo dello sport argentino. Nel 1976, anno del colpo di Stato civico-militare e poco prima di prendere la strada dell’esilio, Favio sceglie come attore protagonista per il suo Soñar, soñar Carlos Monzón, il non ancora femminicida pugile campione mondiale dei pesi medi. Diciassette anni più tardi, Favio torna dietro la macchina da presa per il biografico Gatica, el Mono (1993), storia del boxeador José María Gatica, la cui parabola coincide, attraverso uno straordinario effetto specchio, con i momenti più esaltanti e disperati del peronismo. «Non ho mai fatto politica, sono sempre stato peronista» dirà il protagonista della pellicola. Il suo primo lungometraggio invece – il bressoniano Crónica de un niño solo (1964), il protagonista è un malinconico bambino – è considerato una delle migliori opere della storia del cinema argentino per la sua carica etica ed estetica. Quello di Favio è «un cinema profondamente politico per il racconto che fa del potere, dell’infanzia, dei subalterni», ha scritto su Revista Anfibia Pablo Alabarces, tra i massimi esperti di cultura popolare del Sudamerica. «Rispetto al cinema di Fernando Solanas, il suo non è un cinema militante che mira a creare una coscienza, che invita a prendere le armi per buttare giù il tiranno e ristabilire la felicità peronista. Per costruire una leggenda, Favio sceglie un infame, le figure oscure di un errante, di un gaucho rissoso, di un assassino, di un alcolizzato, di un disertore».
Si narra che a un passo dalla morte Favio raccontasse: «Quando morirò i giornali argentini diranno che «è scomparso il famoso regista», mentre quelli latinoamericani diranno che è morto l’autore di Ella ya me olvidó». Favio – verdadero romantico, autentico romantico – era infatti un simbolo della canzone melodica dell’America latina. Dopo aver imparato a cantare e suonare la chitarra da bambino, la sua prima incisione – Quiero la libertad – è un fiasco. La già citata Ella ya me olvidó – parte del suo album di esordio Fuiste mía un verano (1968) – venderà milioni di copie con picchi di 45mila dischi al giorno. L’anno successivo, al festival di Viña del Mar (Cile), Favio inizia a trasformasi in un fenomeno internazionale. Sono gli anni che in Argentina si affermano i cantanti Sandro, Leo Dan e Palito Ortega. Ma le canzoni di Favio godono di una vena esistenzialista e viene paragonato ad Aznavour. Lo scrittore Juan José Becerra ha detto che Favio appartiene «agli uomini che non possono piangere». Grazie alla musica comunque, nel 1971, Favio riesce ad incontrare, durante un tour in Spagna, l’amato generale Perón. Da quel momento la sua militanza peronista si lega alla sua opera di cantante e cineasta.
Nel 1999, Favio realizza Perón, sinfonía del sentimiento, monumentale doc in quattro episodi (346 minuti in totale) che narra il movimento peronista concentrandosi sulla figura di Juan Domingo. Ma l’episodio che salda la biografia di Favio a quella di Perón si consuma il 20 giugno 1973 nei pressi dell’aeroporto di Ezeiza. Quel giorno il generale deve tornare in Argentina dopo anni di esilio spagnolo. Una folla sterminata è lì per dagli il benvenuto. La voce di Favio risuona dagli altoparlanti. È la voce ufficiale della giornata. Alle 14:35 arriva l’eco delle mitragliatrici. Il ritorno del generale è un giorno di morte. «Chiedo ai peronisti di non usare le armi», esclama Favio. A terra restano tredici vittime e numerosi feriti. L’Argentina è nel baratro della violenza. Le contraddizioni interne del peronismo sono esplose con virulenza. Perón muore un anno dopo, il 1° luglio 1974 ad Olivos. Il 24 marzo 1976 Jorge Rafaele Videla è a capo del Paese. Inizia una cruenta dittatura celata sotto il nome di «Processo di riorganizzazione nazionale».
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