Giornata cruciale, quella di oggi, per le nomine nelle grandi partecipate di Stato, da Eni a Enel, Leonardo, Poste e Terna. In mattinata, a cavallo del consiglio dei ministri delle 11, e soprattutto prima della partenza per gli Usa del ministro dell’Economia Giorgetti (prevista nel pomeriggio), la maggioranza dovrebbe trovare un’intesa che finora non c’è stata.

Meloni vuole fare di testa propria, ed è riuscita fin qui ad eludere le pressanti richieste della Lega e anche di Forza Italia, con Gianni Letta che è tornato al tavolo della trattativa spinto dai figli del Cavaliere. Si parte dalle ferrovie, il cui cda si riunirà lunedì 17: la Lega ha lanciato un’opa e preme per la presidenza di Dario Lo Bosco a Rfi, e per la conferma di Luigi Corradi come ad di Trenitalia, mentre per il ruolo di ad di Fs resta in corsa l’attuale, Luigi Ferraris.

All’Eni è scontata la riconferma come ad di Claudio Descalzi, grazie anche al buon rapporto instaurato con la premier durante le visite in Africa per stringere accordi sul gas. Ma sulla presidenza, pretesa dalla Lega, non c’è accordo: i nomi che circolano, quelli dell’ex segretario generale della Farnesina Ettore Sequi e del prefetto Francesco Paolo Tronca non sono certo assimilabili alla Lega che preferirebbe Angelo Maria Rinaldi.

Per Enel la premier non si smuove dal nome dell’attuale numero uno di Terna, Stefano Donnarumma, che non convince il ministro dell’Economia Giorgetti (che ha in mente tre nomi: Flavio Cattaneo, Luigi Ferraris e Paolo Gallo) e neppure il ministro della Difesa Crosetto. La scorsa settimana Giorgetti ha ribadito che sul nome di Donnarumma pesano i dubbi degli investitori finanziari (che controllano il 70% della società elettrica), ma la premier è parsa irremovibile: «Più lo attaccano, più mi convinco che sia la scelta giusta».

Anche il pressing di Lega e Fi per affidare la presidenza a Paolo Scaroni (già ad di Eni e Enel) pare destinato a scarsi risultati. La tensione nella maggioranza cresce, con l’accusa sempre più netta degli alleati alla premier: «Vuole fare tutto da sola come Renzi».

A Terna il nome prescelto dalla premier è quello di Giuseppina Di Foggia, attuale ad Nokia Italia, anche per dare unn segnale chiaro: «La sfida non è quante donne siedono in un consiglio di amministrazione, è quando avremo il primo amministratore delegato di una società partecipata statale donna, perché, ve lo annuncio, è uno degli obiettivi che mi do», ha detto la premier l’8 marzo.

Anche a Leonardo la partita è molto ingarbugliata. Fino a pochi giorni fa sembrava fatta per il passaggio di testimone tra Alessandro Profumo e Lorenzo Mariani, ad del consorzio missilistico Mbda e sostenuto da Crosetto. Meloni però insiste sul nome di Roberto Cingolani, ministro della transizione ecologica nel governo Draghi, sponsorizzato due anni fa da Beppe Grillo e ora consigliere per l’energia a palazzo Chigi. Un nome che sarebbe stato sussurrato alla premier da Descalzi, ma che fa imbufalire ancora di più la Lega.

Nel Carroccio si domandano come mai, se Meloni ha detto no ai politici nei cda delle partecipate (escludendo così Stefania Prestigiacomo di Fi e il leghista Armando Siri), si dovrebbe dare il via libera a un ex ministro come Cingolani. Per la presidenza di Leonardo la premier punta sul generale della Finanza Giuseppe Zafarana, ma se dovesse passare Cingolani è possibile una presidenza in quyota Lega o Fi.

Più liscia la situazione a Poste, dove è prevista la conferma (per il terzo mandato) di Matteo Del Fante, scelto nel 2017 da Gentiloni e già confermato da Conte nel 2020. Anche ieri, Pasquetta, la trattativa tra i partiti di governo è stata serrata. Per oggi è attesa una fumata bianca. Ma non è scontata.