Visioni

L’enigma di un ragazzo geniale

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Cinema Arriva in sala l’1 gennaio The Imitation Game, la biopic di Alan Turing, star Benedict Cumberbatch

Pubblicato quasi 10 anni faEdizione del 30 dicembre 2014

Arriva sui nostri schermi, con il nuovo anno (l’1 gennaio)il film di Morten Tyldum, già carico di candidature ai Golden Globe, i premi della stampa straniera in America, e che da mesi gli scommettitori danno tra i superfavoriti agli Oscar, almeno per l’interpretazione di Benedict Cumberbatch (12 anni schiavo; Into Darkness). La storia è una di quelle che meritano di essere raccontate, e fatte conoscere al grande pubblico nel mondo, si parla infatti di Alan Turing, una delle figure chiave del Novecento, considerato uno dei precursori della moderna informatica. Ma soprattutto è stato grazie alla sua ostinazione che l’intelligence di scienziati britannici, chiusa a Bletchey Park, il principale centro di crittoanalisi del Regno unito, è riuscita a decifrare il codice nazista Enigma, e dunque a scoprire in vantaggio i piani di attacco dei tedeschi durante la seconda guerra mondiale modificandone sostanzialmente gli esiti.
Nonostante questo pochi anni dopo, nel 1952, Turing viene messo all’indice dalla puritana società britannica perché omosessuale. E quando la cosa diviene pubblica, in seguito a una banale denuncia per furto, la giustizia lo condanna alla castrazione chimica e all’isolamento comopleto. Turing si suiciderà due anni dopo, e soltanto nel 2009 il governo britannico renderà allo scienziato una dichiarazione di pubbliche scuse riconoscendo che è stato oggetto di discriminazione omofobica.

 
Il film di Tyldum, norvegese (Bunny), come tutti i bipioc si prende alcune libertà narrative, e nella vicenda di Turing, un ragazzo solitario che la timidezza – o piuttosto la paura di essere scoperto verrebbe da dire retrospettivamente – rende agli occhi dei colleghi di odiosa arroganza- intreccia diversi spunti. Per esempio la condizione femminile dell’epoca attraverso la figura dell’amica e collega di Turing, Joan Clarke (Knightley) che vince la gara per entrare nel gruppo – anche se le donne ovviamente non sono previste – e per andare via di casa e partecipare alle ricerche deve inventare continui sotterfugi. La guerra non sembra avere scalfito la posizione delle ragazze in Inghilterra a differenza di quanto stava accadendo in America, e Turing per «liberarla» dai genitori a i quali dell’intelligenza della figliola non interessa nulla rispetto al matrimonio, le chiederà di fidanzarsi con lui «ufficialmente». La relazione tra i due è complice e profonda, e sarà anche grazie a lei se Turing riuscirà a sciogliere i rapporti con i colleghi trasformando il rancore nei suoi confronti in entusiasmo di gruppo. In fondo l’uomo e la donna sono speculari rispetto alla loro posizione nel «gender», entrambi devono nascondersi a causa di esso, e per entrambi la società ha stabilito regole e spazi e ruoli che non si possono cambiare.

 
Ma pubblico e privato scivolano uno nell’altro per tutti:perché se Turing deve nascondersi, l’intero gruppo agli occhi del mondo è segreto, e il lavoro che svolge pone continuamente questioni etiche e morali altrettanto complesse. A cominciare dal confronto di equilibrio difficilissimo tra scienza e politica, ricerca e ragion di stato: cosa significa vincere la scommessa e scoprire finalmente il codice dei nazisti? Salvare le vite umane visto che i bersagli saranno individuati per tempo, o piuttosto sacrificarle al disegno più ampio che è quello di vincere la guerra?
Tyldum si affida a una costruzione che procede per flashback, oscillando tra il presente, il momento in cui Turing viene scoperto, e quello degli anni bellici, in un Paese devastato dalle bombe e dalla fame, dalle lunghe notti passate a interrogare il «cervellone», e dalle paure striscianti di una guerra interiore forse persino più pericolosa.

 
Però questa materia potenzialmente incandescente si stempera in scelte narrative convenzionali (che il doppiaggio italiano non aiuta), così come la regia non accetta la sfida delle invenzioni che le ambiguità e le contraddizioni del personaggio Turing portano con sé. Di buono appunto rimane una cosa: che forse ora seppure in versione un po’ feuillletton in più conosceranno Alan Turing e la sua esperienza, che per molti aspetti, non solo quello legato all’omosessualità, appare ancora molto attuale

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