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Leila Alaoui, fotografa «dell’umanità»

Leila Alaoui, fotografa «dell’umanità»

Arte La giovane artista è tra le vittime dell'attentato allo Splendid Hotel di Ouagadougou. Nata a Parigi nel 1982, aveva à vissuto a Marrakesh e Beirut. I suoi reportage erano incentrati in particolare sul mondo arabo e sulla condizione della donna

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 21 gennaio 2016

Leila Alaoui, la giovane fotografa franco-marocchina ferita durante gli attentati di al Qaida a Ouagadougou, in Burkina Faso, è morta per le complicazioni sopraggiunte dopo un intervento d’urgenza a cui era stata sottoposta nella notte tra domenica e lunedì.

 

 

 

 

Era stata riconosciuta come una delle fotografe tra le più talentuose della scena marocchina, Leila, 33 anni, vantava già varie esposizioni, dagli Usa al Libano. Alcuni dei suoi ritratti sono esposti in questi giorni al Museo Mohammed VI di Arte moderna e contemporanea di Rabat. In Burkina Faso per conto di Amnesty International, venerdì scorso stava cenando quando si è trovata al centro della tragedia di Ouagadougou. Moltissime le reazioni alla sua scomparsa: Boukari Traoré, il direttore responsbile di Amnestykina dice che: «Leila era una straordinaria ragazza. Abbiamo voluto lavorare con lei perché conoscevamo il suo talento e il suo impegno per aiutare le donne, ragazze in difficoltà e le persone ai margini e donne in margine, raccontando con molta umanità le loro vicende in storie molto appassionate».

 

 

Leila Alaoui era nata a Parigi nel 1982 e cresciuta poi in Marocco. Aveva studiato fotografia a New York presso la City University e subito dopo aveva iniziato la sua attività, spostandosi in lunghi viaggi tra il Marocco, il Libano e gli Emirati Arabi. Aveva vissuto a Marrakesh e Beirut. I suoi reportage erano incentrati in particolare sul mondo arabo e sulla condizione della donna. «Era un’artista che brillava», ha scritto di lei il New York Times. «Lottava per i dimenticati della società, i senzatetto, i migranti. Usando una sola arma, la fotografia».

 

 

Tra i ricordi più importanti quello dello scrittore Tahar Ben Jelloun che ha dedicato alla fotografa la sua rubrica settimanale sul sito d’informazione marocchino Le360.ma. «Oggi il mondo dell’arte perde una stella», scrive Jelloun, «ed è accaduto che si trovasse sulla scena, suo luogo di creazione, quando la crudeltà dei barbari l’ha colpita».

 

 

Leila Aloui stava lavorando a un progetto dal titolo Il mio corpo: i miei diritti, sulla prevenzione contro il matrimonio precoce in Burkina Faso e Mali, un lavoro che gli era stato commissionato da Amnesty International. Presente alla prima Biennale de la Photo du monde Arabe a Parigi, con la serie Les Marocains, per questo lavoro si è ispirata a The Americans di Robert Frank. Sono tutti immagini su fondo nero, dove sonno ritratti donne, uomini e bambini provenienti da diversi gruppi etnici tra berberi e arabi

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