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Leggere Nazarin al tempo di papa Francesco

Leggere Nazarin al tempo di papa FrancescoLuis Buñuel, dal film Nazarin

Frammenti Tra Benito Pérez Galdós e Luis Buñuel, la figura del prete che decide di seguire le orme del Cristo tra i poveri e i diseredati per le strade del Messico

Pubblicato 2 mesi faEdizione del 14 settembre 2024

Un amico mi provoca: che romanzo consiglieresti di leggere a papa Bergoglio? «Chi sono io per…?» gli rispondo, ma quello insiste e il gioco mi prende. Ci penso su gli dico: Nazarin di Benito Pérez Galdós portato sul grande schermo da Luis Buñuel. «E perché non La via lattea?» mi replica. «Il film sul ‘cammino di Santiago’ di due bizzarri pellegrini che ripercorre ambiziosamente e rapidamente (magistralmente) le tappe fondamentali della storia del cristianesimo, in tutta la sua complessità, in tutte le sue contraddizioni?». Rispondo: «Perché papa Francesco la conosce bene, e davvero in tutte le sue contraddizioni essendo tra l’altro portatore di quella fondamentale di volersi chiamare Francesco, perché: o si è Francesco o si è il Papa…»

Insisto dunque su Nazarin, girato in Messico nel 1958 ma ambientato tra fine Ottocento e primi Novecento, dove si racconta del povero prete di un quartiere travolto dal confronto con la miseria sociale e umana dell’ambiente in cui opera e che decide di seguire le orme del Cristo tra i poveri e i diseredati per le strade del Messico. (Il film è tratto da uno straordinario romanzo di Benito Perez Galdos, il più grande narratore spagnolo dopo Cervantes, poco letto in Italia nonostante i periodici sforzi di qualche editore; da un altro dei suoi romanzi, Buñuel ha tratto anni dopo un altro capolavoro, Tristana).

Nel suo peregrinare, cui si accodano un nano, una prostituta e altri poveracci, Nazarin combina non volendo molti guai, ché «l’imitazione del Cristo» porta a contraddizioni irrisolvibili. In una delle scene del film (e l’idea viene dal marchese di Sade) una moribonda rifiuta il prete e invoca il marito, per un ultimo abbraccio molto terreno.
Nazarin capirà qual è il senso vero della carità alla fine, quando è condotto in catene in carcere per i guai provocati e una vecchia contadina gli dà uno dei due frutti che porta al mercato. E allora Buñuel, lui che detestava il commento musicale nei film, fa esplodere nel sonoro i tamburi suonati ossessivamente da centinaia di fedeli il venerdì santo nella città della sua infanzia Calanda. Ma questo finale non è affatto eretico, perché riporta alla affermazione di san Paolo che delle tre massime virtù, è la Carità e non sono la Fede e la Speranza, quella irrinunciabile.

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