Legge elettorale, si aprono le danze. Con quattro Pd
Sono diciassette attorno al tavolo i rappresentanti della maggioranza che hanno in mano il dossier delle riforme istituzionali e oggi tornano a vedersi per cominciare a parlare di legge elettorale. […]
Sono diciassette attorno al tavolo i rappresentanti della maggioranza che hanno in mano il dossier delle riforme istituzionali e oggi tornano a vedersi per cominciare a parlare di legge elettorale. […]
Sono diciassette attorno al tavolo i rappresentanti della maggioranza che hanno in mano il dossier delle riforme istituzionali e oggi tornano a vedersi per cominciare a parlare di legge elettorale. Solo un primo giro d’orizzonte che servirà a precisare le ragioni per cui si vuole cambiare il sistema di voto come conseguenza del taglio dei parlamentari. Ragioni anticipate oltre un mese fa, quando si raggiunse un primo accordo di maggioranza: la nuova legge dovrà «garantire più efficacemente il pluralismo politico e territoriale». L’identikit di una legge pienamente proporzionale e quella resta la soluzione più probabile, modulata con il gioco delle soglie di sbarramento. Ma non sarà la riunione di oggi a chiudere il discorso.
Il ministro per i rapporti con il parlamento D’Incà, gli otto capigruppo di maggioranza – Marcucci e Delrio per il Pd, De Petris e Fornaro per Leu, Faraone e Boschi per Italia viva e Perilli e Silvestri per il Movimento 5 Stelle (quest’ultimo ancora vicario e già fuori dalla interminabile corsa interna grillina) – e gli otto capigruppo in prima commissione si vedranno oggi alle 15 alla camera. Non un’immagine bellissima, visto che della legge elettorale si dovrebbe parlare con le opposizioni. L’intenzione dichiarata è quella di trovare prima un accordo nel perimetro di governo e poi coinvolgere il centrodestra, che sul tema sta marciando dietro la Lega e il suo arduo tentativo di arrivare a un sistema maggioritario attraverso il referendum. Ma mettere d’accordo la maggioranza non è affatto facile, le incertezze sul destino del governo e della legislatura dominano e condizionano i ragionamenti sulla legge elettorale.
Poco più di un mese fa, i giallo-rossi avevano convenuto che il taglio dei parlamentari, peraltro approvato da loro, «aggrava alcuni aspetti problematici della legge elettorale, con riguardo alla rappresentanza sia delle forze politiche sia delle diverse comunità territoriali». 5 Stelle e Leu restano fedeli agli accordi stretti in fase di formazione del governo: la nuova legge deve essere proporzionale. I grillini alzerebbero volentieri la soglia di sbarramento (oggi al 3%), Leu non troppo. Italia viva ha un leader che si dichiara convintamente per il maggioritario, ma nei sondaggi è ferma su percentuali che consigliano la soluzione proporzionale. Il Pd è tradizionalmente diviso. Ci sono i proporzionalisti puri (Orfini), i proporzionalisti che mettono l’accento sui correttivi in senso maggioritario (Orlando, con la sua proposta di adottare il sistema spagnolo che proprio ieri Renzi ha voluto sbeffeggiare), i maggioritari nostalgici del bipolarismo (Prodi, Veltroni), i fan del doppio turno di coalizione sul genere dell’Italicum già bocciato dalla Corte costituzionale (l’ala riformista). E c’è Zingaretti, che fin qui ha solo escluso un’opzione proporzionale pura senza sbarramento, peraltro mai presa in considerazione da alcuno.
La maggioranza si era impegnata a presentare una proposta di legge elettorale entro dicembre. Allora qualcosa in più sui destini della legislatura si dovrebbe capire. E non si può escludere che sia confermato in servizio il «problematico» Rosatellum, dai giallo-rossi temuto in accoppiata con il taglio dei parlamentari. Ma se, complice la richiesta di referendum confermativo, si dovesse votare un’altra volta per 630 deputati e 315 senatori, la legge elettorale in vigore farebbe meno paura
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