A cento giorni di distanza dalle elezioni regionali, le Marche si apprestano a cambiare la legge elettorale. Il colpo di mano arriva dal centrosinistra ma ha trovato sponde importanti anche a destra e prevede non solo un doppio turno sul modello delle comunali ma anche l’esclusione dall’assemblea legislativa di tutti i candidati alla presidenza della giunta all’infuori dei primi due classificati.

Ieri in commissione Affari istituzionali la proposta è passata con l’astensione della destra e il parere contrario del Movimento 5 Stelle, il cui candidato alla presidenza, Gianni Mercorelli, arriva a parlare addirittura di «fascismo amministrativo». La discussione e il voto sul tema si consumeranno in consiglio regionale tra una settimana.

Inizialmente, la modifica della normativa elettorale regionale era stata proposta dai consiglieri di Uniti per le Marche (socialisti e civici) dieci giorni fa, all’interno della nuova legge sul garante dei Diritti della persona, ma l’iter era stato stoppato all’ultimo dal consigliere di Articolo Uno Gianluca Busilacchi. Adesso il tema è destinato a tornare al centro del dibattito, peraltro contro il parere del governo, che era stato impegnato dalla Camera a «rappresentare alle regioni l’inopportunità» di modificare le regole alla vigilia del voto.

«Si tratta di un’autentica porcata liberticida che non ha analogie in nessuna regione italiana ed è evidentemente volta a colpire ogni ipotesi di candidatura autonoma, che possa aggregare le aree che non si riconoscono nella pessima esperienza della giunta presieduta dal dem Luca Ceriscioli. Con queste iniziative antidemocratiche e di dubbia costituzionalità il Pd vuole presentarsi come argine contro le destre?», commenta il segretario di Rifondazione comunista Maurizio Acerbo, che annuncia anche una serie di mobilitazioni nelle Marche, dove, a sinistra, è in costruzione la lista «Dipende da noi» guidata dal filosofo Roberto Mancini.

Nel Pd le acque sono agitatissime. La candidatura del sindaco di Senigallia Maurizio Mangialardi stenta a decollare, travolta com’è da problemi sempre nuovi che dividono il partito ogni due o tre giorni. Questa della legge elettorale è l’ennesima grana: tre consiglieri sarebbero fortemente contrari, mentre il segretario regionale dem Giovanni Gostoli appare spaesato e, sollecitato a intervenire per chiarire quale sia la linea, si è limitato a «prendere atto» che nel Pd in molti sono d’accordo con questa modifica.

Se Atene piange, comunque, Sparta certo non ride. Anche la destra non sa bene come comportarsi: a Roma gli ordini del giorno presentati alla Camera affinché le regioni non modifichino la legge elettorale sono venuti da Forza Italia e da Fratelli d’Italia, ad Ancona però i consiglieri ancora non si espongono, e infatti con la loro astensione hanno aiutato il centrosinistra a portare la modifica della legge al prossimo consiglio. Anche qui, nell’ombra è finito il candidato Francesco Acquaroli (FdI), che giusto ieri ha ricevuto la benedizione ufficiale della trimurti Salvini-Meloni-Berlusconi.

Il problema è che non si sa quanto i cacicchi locali siano inclini a prendere ordini dai propri leader nazionali, persi come sono tra misteri e magie intelligibili solo agli iniziati, ovvero a chi segue da vicino le piccole vicende territoriali, dove poi bisognerà andare a caccia di preferenze per farsi eleggere.

In tutto questo, sono scomparsi gli unici due temi davvero rilevanti per i cittadini marchigiani: il terremoto (ci sono ancora 26mila persone fuori di casa) e la riforma sanitaria, per ora ferma soltanto alla chiusura degli ospedali periferici (13 negli ultimi dieci anni) in assenza di una vera riprogrammazione. Un problema che si è fatto sentire in maniera durissima durante la crisi del coronavirus, con la saturazione delle terapie intensive e poi pure con l’incredibile vicenda del Covid Center di Civitanova Marche costruito da Guido Bertolaso e dall’Ordine di Malta.