Europa

Legge bavaglio in Spagna, la tesi autoritaria della governabilità

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Spagna Nel 1985 José M. Fernández Casado, redattore grafico della agenzia spagnola Efe, vinse il primo premio del concorso «Fotopres», con una fotografia in cui è ritratto un poliziotto, perfettamente riconoscibile, […]

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 23 aprile 2015

Nel 1985 José M. Fernández Casado, redattore grafico della agenzia spagnola Efe, vinse il primo premio del concorso «Fotopres», con una fotografia in cui è ritratto un poliziotto, perfettamente riconoscibile, pistola in mano, durante una vivace manifestazione a Bilbao. Oggi, per quella stessa foto, José riceverebbe una multa di 30mila euro. Non è l’inflazione, è la banale conseguenza dell’applicazione della legge di sicurezza cittadina voluta e votata dal Partito Popolare di Rajoy, senza l’appoggio di nessuna delle altre forze politiche. È stata subito rinominata ley mordaza, «legge bavaglio», perché il suo fine non è altro che rendere illegali tutte le proteste cittadine contro il governo e limitare ogni libera espressione.

Il ricco menù prevede multe per la partecipazione a una manifestazione non autorizzata di 600 euro, sanzioni anche se la manifestazione è autorizzata, ma poi uno spezzone del corteo cambia percorso. Scendere in piazza incappucciati e col passamontagna, anche d’inverno, prevede una sanzione dai 10.401 ai 20.200 euro, disobbedire alla polizia antisommossa o tentare di impedire uno sfratto può costare fino a 30mila euro, organizzare una protesta in una centrale nucleare prevede fino a 600mila euro di multa, il livello di gravità sarà a discrezione delle istituzioni interessate.

Riforme che aumentano le pene in materia di ordine pubblico e caratterizzano come reati gravi le occupazioni pacifiche delle banche o la resistenza agli sfratti e tentano di ostacolare le forme di protesta proprie delle associazioni ecologiste come esporre striscioni giganti sulle facciate o manifestare all’entrata di centrali termiche o nucleari. È assoluta l’ossessione governativa contro il diritto a riunirsi, si criminalizza la disobbedienza civile, si limita il diritto alla libertà di espressione e alla raccolta di prove contro gli eccessi della polizia.

Tutto si può dire del governo Rajoy, meno che non abbia capito che la sua crisi di consensi e al contrario la straordinaria crescita di quelli per Podemos o in misura minore per Ciudadanos, nascono entrambe dalla ribellione di larga parte della cittadinanza spagnola alle politiche recessive e al drastico taglio delle prestazioni fondamentali dello stato sociale e dei servizi pubblici, che questo esecutivo ha prodotto in nome e per conto dell’Europa liberista. Una diffusa insoddisfazione aggravata da una corruzione dilagante del sistema politico e di potere.

Per recuperare consensi e soprattutto ridurre quelli di una possibile alternativa politica si ricorre alla strada di sempre: la repressione e l’attacco ai diritti. Per questo sono state approvate nelle scorse settimane le nome liberticide sull’ordine pubblico, ma anche quelle di revisione della legge sull’aborto con la relativa aggressione al diritto all’autodeterminazione delle donne. Non ci si dovrebbe sorprendere perché queste decisioni sono da tempo parte organica del modo di governare e di concepire la politica delle destre e purtroppo di non poche sinistre.

È ormai evidente che in questi anni ha preso piede in numerosi paesi, una idea di partito come insieme di centri di potere, più o meno occulti, dove cresce una classe dirigente arrogante ed aggressiva che sostituisce alla politica il comando e il controllo. È il tentativo insidioso di far diventare senso comune di larghi strati della società la tesi autoritaria della governabilità, secondo cui la partecipazione e il conflitto sociale sono, in una società in crisi, un sovrappiù di domande rispetto alle risposte che il sistema può dare e, di conseguenza, si propone di superare questa contraddizione con un secco ridimensionamento della democrazia. Indebolire la mobilitazione sociale, ormai alimentata dall’interazione tra azioni di strada e cyber-attivismo, per colpire a fondo il carattere di massa che ha assunto la protesta. Mettere paura alle persone per spingerle a chiudersi in casa, pressando la parte più radicale dei movimenti sociali ad accettare la sfida e a ridurre il conflitto nel noto e sempre perdente binomio repressione, risposta alla repressione.

Fino a oggi i movimenti hanno saputo rispondere con un livello di creatività sempre più alto e irriverente. Dallo scendere in piazza imbavagliati si è passati alla manifestazione di ologrammi, non perseguibili legalmente, o all’utilizzo di oltre 200 contenitori di pollo arrosto, carta cellophane colorata e led intermittenti per trasformare le macchine parcheggiate in una strada di Madrid, vicina al parlamento, in minacciosi veicoli di polizia e raffigurare così una polizia onnipresente che ormai controlla ogni comportamento in uno spazio pubblico completamente presidiato.

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