Legge 40, «un cumulo di divieti smontati in quindici anni»
Intervista Parla l’avvocata Filomena Gallo (Associazione Luca Coscioni) che ha condotto tutte le battaglie davanti alla Consulta: «Oggi festeggiamo la piccola Martina, che compie due anni grazie alla Corte costituzionale che abolì il divieto di accesso alla Pma per le coppie fertili portatrici di malattie genetiche»
Intervista Parla l’avvocata Filomena Gallo (Associazione Luca Coscioni) che ha condotto tutte le battaglie davanti alla Consulta: «Oggi festeggiamo la piccola Martina, che compie due anni grazie alla Corte costituzionale che abolì il divieto di accesso alla Pma per le coppie fertili portatrici di malattie genetiche»
Infertilità in aumento, nascite al minimo storico (458.151 nel 2017: 120 mila in meno rispetto al 2008), crollo della disponibilità all’adozione nazionale (-45% dal 2006 al 2015, dati Dipartimento giustizia minorile) e internazionale (-55%). «Eppure in Italia si fa di tutto per impedire la nascita dei bambini e si ostacola il diritto sancito dalla Costituzione e dai principi comunitari a costruirsi una famiglia».
A quindici anni esatti dall’entrata in vigore della Legge 40 – il 10 marzo 2004 – voluta dall’allora ministro della Salute Girolamo Sirchia per «porre fine al far west procreativo» che esisteva solo nella visione talebana del Movimento per la vita che la ispirò, l’avvocata Filomena Gallo – la donna grazie alla quale quella legge è stata smantellata pezzo per pezzo davanti alla Corte costituzionale e nelle aule di tribunale – ama ricordare un altro anniversario. «Oggi compie due anni la piccola Martina che la legge 40 non voleva far nascere – sottolinea la segretaria nazionale dell’Associazione Luca Coscioni – e che è figlia di una delle coppie con le quali abbiamo lottato fino ad ottenere dalla Consulta l’abolizione del divieto di accesso alla fecondazione assistita per le coppie fertili portatrici di malattie genetiche».
Ripercorriamo le tappe di quelle battaglie?
Sì, ma ricordiamo prima che nel 2008 il Parlamento europeo ha emanato una risoluzione che invitava tutti gli Stati membri a rimuovere gli ostacoli di accesso alla Procreazione medicalmente assistita (Pma) per garantire un aumento demografico dell’Europa. Ed è previsto che i Paesi presentino una relazione annuale, cosa che l’Italia non ha mai fatto. Poi, l’anno dopo, nel 2009 otteniamo dalla Corte costituzionale l’abolizione del limite di fecondazione di soli tre gameti e l’obbligo di un unico e contemporaneo impianto di tutti e tre gli embrioni prodotti. Nel 2014 cade il divieto di eterologa: la Corte costituzionale chiarì che non c’era vuoto normativo perché anche se la legge 40 lo vietava, i figli nati con donazione di gameti sono legittimi, e non sono disconoscibili né dal padre né dalla madre, in quando il donatore non ha alcun rapporto giuridico con il nascituro. Nel 2015 i giudici costituzionali aboliscono il divieto che ha permesso a Martina di festeggiare oggi il suo secondo compleanno. Quella sentenza precisa che effettuare la diagnosi preimpianto su un embrione non è eugenetica, è una tecnica lecita e il medico non commette alcun reato. Nel 2016 la Consulta chiama il legislatore a normare la possibilità di donare alla ricerca gli embrioni non idonei a una gravidanza. Un richiamo caduto nel vuoto.
Cosa rimane di quel testo?
Il divieto di accesso per i single e per le coppie dello stesso sesso. Il prossimo maggio la Consulta valuterà il divieto intervenendo nel caso di una coppia di donne. Rimane inoltre il divieto di gestazione per altri e quello di donare embrioni alla ricerca. Ed è rimasta la diseguaglianza di accesso, perché alcune tecniche di Pma non sono inserite nel Ssn, e ogni tentativo costa tra i 3 mila e i 10 mila euro. Eppure sono migliaia i bambini che nascono con queste tecniche: nel 2016 sono stati 14 mila.
Quanti sono gli embrioni congelati che non possono essere distrutti ma non possono neppure essere usati per la ricerca scientifica?
Ci sono 3 mila embrioni cosiddetti «abbandonati» che risalgono a prima della legge 40. L’allora ministro della Salute inviò a tutte le coppie che avevano embrioni congelati una lettera che chiedeva loro se volevano «abbandonarli». Poi ci sono gli embrioni non idonei alla gravidanza, ma sappiamo solo che erano 599 quelli prodotti nel 2016, perché nessun ministro, a parte l’attuale, ha mai reso pubblici i dati sulla legge 40. Solo grazie alla ministra Giulia Grillo, nel 2018 abbiamo conosciuto i dati del 2016. Vorrei però fare appello alla ministra affinché inserisca la diagnosi preimpianto a carico del Ssn, esclusa invece dalla ministra Beatrice Lorenzin quando aggiornò i Lea introducendovi per la prima volta alcune tecniche di Pma. Purtroppo però non sono state stabilite le tariffe delle singole tecniche e dunque è come se non fossero state mai inserite. Inoltre, le indagini preimpianto sull’embrione prima del trasferimento in utero, pur consentite per legge, non sono riconosciute dal Ssn, e dunque sono a carico del cittadino. Perciò chiedo alla ministra Grillo di individuare tariffe idonee a rendere effettivamente pari l’opportunità di accesso per tutti i cittadini.
Dunque le tecniche di Pma sono per lo più a pagamento?
È solo grazie alle Regioni, che, con diverse velocità, stanno cercando di colmare il vuoto lasciato dai governi, se le tecniche di Pma sono accessibili nelle strutture pubbliche. Solo grazie alla sanità regionale le strutture possono erogare i servizi, con i fondi sempre più esigui stanziati per l’applicazione della legge 40.
Prima che la legge venisse smantellata, molte coppie italiane andavano all’estero per accedere alla Pma, oggi cosa avviene?
Accade che le strutture specializzate in fecondazione eterologa di altri Paesi si trasferiscono in Italia, vengono incontro alla richiesta. L’Italia infatti ha recepito tutte le normative comunitarie sulla tracciabilità e la sicurezza dei gameti, ma lo ha fatto prima del 2014, quando l’eterologa era proibita. Perciò da noi si possono donare ovuli e sperma ma non è previsto alcun rimborso, perché il ministero non ha mai stabilito le tariffe. La donazione di gameti è equiparata a quella del sangue, ma in questo caso bisogna sottoporsi a lunghi trattamenti farmacologici (almeno per le donne), quindi con esborso di denaro e grandi sacrifici personali. I mille euro dati in Spagna alle ragazze donatrici di certo non sono commercializzazione dei gameti. Allora cosa succede? Che qui da noi le tecniche eterologhe vengono applicate ma i gameti vengono importati dall’estero, perché le donatrici scarseggiano. Le strutture li acquistano, quelle pubbliche devono procedere con i bandi, ma solo in tre regioni – Veneto, Emilia-Romagna e Toscana – sono stati fatti i bandi. È perciò normale che le aziende specializzate straniere vengano in Italia ad aprire strutture, perché per loro non c’è problema a reperite gameti.
Secondo lei c’è bisogno di una nuova legge?
No, ci vorrebbe solo una norma che abroga gli ultimi divieti rimasti. Perché quando si mette mano a una legge si inseriscono solo altri divieti. Bisogna invece cambiare la mentalità e la cultura: solo da noi non si fanno campagne informative, il sesso è tabù e nelle scuole non si fa prevenzione. Io faccio parte di Fertility Europe, un network europeo di associazione di pazienti infertili, e ogni volta che ci riuniamo ci rendiamo conto del gap che sconta l’Italia, unico Paese dove non esistono campagne governative per la donazione dei gameti, per la prevenzione dell’infertilità, per spiegare cosa è la fecondazione assistita… Pensi che la presidente del network inglese di pazienti infertili è stata premiata con un’onorificenza dalla regina Elisabetta. Da noi non ci invitano neppure ai tavoli.
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