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L’efficacia del darwinismo letterario

L’efficacia del darwinismo letterarioLo scrittore Italo Calvino

Bio-critica IN «POETICI PRIMATI» (PUBBLICATO DA QUODLIBET) MARIO BARENGHI AFFRONTA LA FUNZIONE PALEO-SOCIALE DEL FENOMENO LETTERARIO

Pubblicato quasi 4 anni faEdizione del 17 gennaio 2021

Il nuovo libro di Mario Barenghi Poetici primati (Quodlibet, pp. 208, e 18,00) comincia con un’affermazione di modestia che è insieme una dichiarazione d’intenti: «Le pagine che seguono non sono destinate a esperti e teorici della letteratura. Vano infatti sarebbe cercarvi novità autentiche rispetto al recente fiorire di studi sui rapporti fra letteratura da un lato, e scienze della vita o neuroscienze o scienze ambientali dall’altro». Non che l’autore voglia, con questo, aprire un contenzioso con la teoria letteraria, che impiega anzi con puntualità e perizia, facendo riferimento a molti studi italiani e stranieri. Ma la teoria non ne è il primum né il fine; soprattutto, non offre modelli di costruzione argomentativa. Poetici primati, come suggerisce già l’invenzione del brillante titolo-calembour, è un libro in cui si cerca piuttosto «di dar conto di una personale immagine della letteratura o della poesia», modificata nel corso degli anni attraverso il confronto con la scienza e l’antropologia. Da tempo, infatti, Barenghi coltiva un interesse per questi ambiti, che si era già espresso in un suo volume del 2013, Cosa possiamo fare con il fuoco? Letteratura e altri ambienti, di cui Poetici primati prosegue e approfondisce alcune linee.
Potremmo anche dire che Poetici primati è un libro «dove ci piove dentro», come ha scritto a proposito della fantasia uno degli scrittori più cari a Barenghi, Italo Calvino. «Ci piove dentro» perché ha molti punti di accesso e lo stesso autore vi lascia soggettivamente fluire le proprie passioni di critico letterario e di lettore esperto di scienza. Anche per questo il discorso, condotto con una scrittura di grande finezza, è particolarmente leggibile (pregio non da poco per questo genere di studi). A caratterizzarne l’andamento sono gli scorci verticali, da cui passano con agilità le fulminee analogie tra scienze e letteratura, tra le attitudini dei primi Sapiens e le immagini di Leopardi, Manzoni, Gadda, Primo Levi e dei molti altri scrittori che Barenghi richiama. Se, in astratto, il limite di una ricerca su letteratura e altri saperi può essere quello di parlare molto di questi e troppo poco di quella, direi che Poetici primati non corre questo rischio, o meglio lo scavalca «sì come colui che leggerissimo era» in grazia di quei rapidi accessi alla letteratura a cui provvede la soggettività del critico.
Ma come insegnano proprio le Lezioni americane, la leggerezza non coincide con la tenuità. Poetici primati lo conferma, sollecitando fin dalla premessa alcune questioni chiave per gli studi umanistici. La prima riguarda appunto il nesso tra letteratura ed evoluzionismo, che in genere assume un risvolto psicologico-cognitivista. Barenghi propone invece di privilegiare la dimensione socio-antropologica. Da qui discendono alcune altre questioni, che danno occasione di riflettere su certi paradigmi culturali della contemporaneità: il primato della biologia sulle scienze sociali; la riformulazione delle dinamiche storiche e sociali alla luce di eventi e processi di lunghissima durata (i fattori biologici e climatici, ad esempio, sono all’ordine del giorno negli studi storici recenti); la tendenza a rappresentare l’umano in termini di specie e a collocarlo in un ‘tempo profondo’ che precede e supera i limiti cronologici e sociali della Storia.
Ora, di fronte al primato delle scienze biologiche come sapere di riferimento della contemporaneità, Barenghi rimette in primo piano la funzione sociale o paleo-sociale del letterario: come si parla di ‘storia’ o ‘tempo profondo’, si potrebbe parlare anche di ‘letteratura profonda’. La scelta dei termini, peraltro, non è priva d’implicazioni, anche rispetto a metodi, prospettive e valori della critica. L’aggettivo ‘sociale’ non si riferisce infatti qui a un sistema politico-economico individuato in base a categorie ideologiche o assiologiche, ma al legame primario, e in buona misura fisico, tra individui. Quel legame che viene rinsaldato dalle interazioni affettive tra famigliari, da cui si sarebbe evoluta una specie di proto-retorica all’origine delle pratiche artistiche: «Nelle attività estetiche» – osserva Barenghi in riferimento alle tesi dell’antropologa Ellen Dissanayake – «si replicano e si perpetuano (…) moduli di comportamento ritmici e iterativi già sperimentati in germe nei rapporti di accudimento, che a loro volta rappresentano un nucleo generativo della socialità».
In ogni caso, non si tratta di stemperare la portata sociale della letteratura nella lunghissima durata, ma al contrario di riflettere sull’importanza originaria di una dimensione sociale della parola non immediatamente strumentale, e in questo senso preletteraria. Il letterario, inteso in accezione ampia, si è evoluto insieme all’assetto biologico-cognitivo (influenzandolo), non in subordine a quello. Mettendosi dalla parte di Clifford Geertz, Barenghi contesta in particolare «il rapporto tra natura e cultura in termini di mera successione», accreditando invece la tesi della reciproca influenza tra i livelli biologico, sociale, culturale. L’arte si sarebbe perciò sviluppata come risorsa necessaria e fondativa della vita in comune, contribuendo in particolare all’incremento delle competenze sociali. È questa la tesi centrale del libro, che della letteratura mette in luce l’efficacia.
A proposito di questo termine, Barenghi riporta il brano di uno scritto di Walter Siti, apparso nel 2019, secondo il quale «al centro delle analisi letterarie che ora appaiono più trendy (la bio-critica e il darwinismo letterario) non c’è più la ricerca del senso ma lo studio sull’efficacia». Barenghi non dà torto a Siti (anche se ammette un certo disagio di fronte all’etichetta ‘trendy’). L’efficacia però non è solo estrinseca ai fatti letterari, come lascerebbe intendere Siti, ma direttamente applicabile alla scelta dei modelli da accreditare, dei temi e delle condizioni a cui dare spazio nella scrittura e nella critica della letteratura, alla visione del quadro generale con cui far reagire il senso dei testi.
Certo, la prospettiva evoluzionistico-letteraria non manca di risvolti problematici, come quelli implicati dal concetto di ri-uso. La letteratura nascerebbe per incremento di complessità ma anche per cristallizzazione di formule, riti, pratiche iterative che perdono una funzionalità immediata e un valore performativo diretto per diventare ‘testi’ letterari proprio attraverso il loro ri-uso. Introdotta sul piano retorico da Lausberg, l’idea è stata elaborata negli studi letterari da Franco Brioschi nel saggio Teoria e insegnamento della letteratura (incluso in un libro importante come La mappa dell’impero, 1983). Da qui la riprende Barenghi, che ne fa un perno teorico del suo libro, non solo nel saggio eponimo e maggiore, ma anche nei tre studi più brevi della seconda parte, intitolata Applicazioni e presupposti (in particolare nell’ultimo, su Lessico famigliare di Natalia Ginzburg). Il primato del ri-uso può sfumare le differenze tra la letteratura in senso pieno, con la complessità delle sue forme e l’ambivalenza dei suoi contenuti, e le manifestazioni verbali che la preannunciano. La questione che resta sospesa è allora quella dello stile, come termine medio tra l’espressione individuale dello scrittore e un codice ‘di specie’, su cui si orienta di più il versante cognitivista. Ma sarebbe appunto una direzione diversa, un altro libro. Poetici primati tende a un fine anche più importante: restituire alla letteratura una priorità fondativa, riscoprendone il legame originario e non accessorio con la nostra umanità.

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