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L’Ecuador al bivio

L’Ecuador al bivioL'economista ecuadoriano Pedro Paez

Intervista Pedro Paez, economista, parla della nuova architettura finanziaria

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 14 marzo 2017

Pedro Paez, economista ecuadoriano di fama internazionale, ha svolto molti incarichi, anche di governo, nel suo paese. Soprattutto, ha avuto un ruolo centrale in quella che, in America latina, si definisce la Nuova architettura finanziaria. Lo abbiamo incontrato a Roma durante un giro di conferenze che lo ha portato anche al centro sociale Spartaco, attivo nei percorsi territoriali di «democrazia partecipata». Attualmente presiede la Superintendencia de Control del Poder de Mercado, l’equivalente dell’Antitrust.

Il presidente Correa ha destituito i vertici militari a ridosso del ballottaggio del 2 aprile. C’è il rischio di un colpo di stato?
Sì. Un primo episodio si è verificato il 30 settembre del 2010, quando la polizia sequestrò il presidente per 12 ore. Le Forze armate tardarono 9 ore a manifestarsi e il loro pronunciamento rispetto a quel tentativo di golpe fu ambiguo. Immaginate se succedesse a un presidente europeo, o alla regina d’Inghilterra. Solo che, per un paese sudamericano, la valutazione cambia… Le nostre Forze armate non hanno una tradizione sanguinaria come quelle di altri paesi del Cono Sur, ma non sono dei santi. Benché in Ecuador non esista la pena di morte dal 1884, dai tempi della rivoluzione liberale di Eloy Alfaro, negli anni ’80, sotto il governo di Leon Cordero vi sono state torture ed esecuzioni extragiudiziarie. Occorre vigilare. Dietro l’ex colonnello ed ex presidente Lucio Gutierrez ci sono militari in pensione e polizia. Si sono presentati con l’ex generale progressista Paco Moncayo che, proponendosi negli ultimi mesi, ha dato copertura anche a questi settori e a quelle componenti del movimento indigeno che hanno deciso di stare contro il governo e stavano negoziando candidature con le destre di Lasso e Cynthia Viteri. Al ballottaggio andranno con Lasso, il banchiere dell’Opus Dei, che propone la radicalizzazione dei programmi neoliberisti, come in Argentina e in Brasile.

Può finire come in Argentina?
Lenin Moreno, il nostro candidato, ha più di 20 punti di vantaggio, e Alianza Pais ha la maggioranza in assemblea. E abbiamo vinto ampiamente il referendum contro i paradisi fiscali, che vieta a chi viene eletto di avere capitali all’estero.Tuttavia, intravvedendo una possibilità, le destre hanno cominciato a gridare alla frode. In un clima di odio, polarizzazione e strategia della confusione portata avanti dai media, può crearsi una situazione simile a quella Argentina, quando Scioli ha perso per pochi punti. Macri, come Lasso, ha promesso milioni di posti di lavoro: invece vediamo milioni di licenziamenti. In Brasile, quella della corruzione è stata la cortina di fumo dietro la quale una pletora di corrotti ha messo sotto impeachment la presidente Rousseff che corrotta non era e che insieme a Lula aveva tolto dalla povertà 40 milioni di brasiliani. Con Temer è stata approvato una riforma istituzionale che vieta per vent’anni gli investimenti pubblici. Tutta l’America latina è vittima di un’agenda destabilizzante che combina attacchi macroeconomici e finanziari con l’armamentario delle rivoluzioni colorate alla Gene Sharp. Le oligarchie imperialiste azzannano nel punto più debole di ogni paese, battendo su un aspetto o l’altro: per cancellare le timide ma significative conquiste sociali del continente e istallare un nuovo ciclo di debito estero inestinguibile. Nella crisi strutturale di sovrapproduzione del capitalismo, l’eternizzazione del debito è l’asse di una nuova strategia che riporta a forme arcaiche di sfruttamento sotto la maschera dei moderni strumenti finanziari. La stessa strategia utilizzata per colonizzare il sud, viene usata all’interno delle metropoli imperialiste. Negli Usa, Main Street (l’economia reale) sta perdendo la lotta con Wall Strett (la finanza). È questo contesto che esprime Trump.

Lasso ha promesso che se vince abolirà l’Antitrust. Come funziona la Superintendencia?
Ha una funzione di trasparenza, organizza il controllo sociale del mercato e della concorrenza a partire dalla partecipazione popolare nell’ambito del quinto potere dello stato, Transparencia y Control Social. Nel nostro nuovo esperimento costituzionale, pur essendo un paese dollarizzato, stiamo mettendo in campo meccanismi di protezione e difesa della popolazione: con le assemblee produttive, l’osservatorio degli utenti, la firma di un codice etico con distinti gruppi di imprese… Siamo dentro il mercato, certo, ma con una logica di responsabilità sociale cooperativa che dà spazio alla produzione nazionale e alle piccole e medie imprese. Faccio alcuni esempi. Dal 2014, con le reti di piccoli produttori siamo riusciti a portare i loro prodotti nei grandi supermercati, aprendo brecce nelle grandi catene commerciali. Per la prima volta, contadine indigene o afrodiscendenti che non avevano neanche i certificati per vendere, si sono sedute a negoziare con i proprietari dei supermercati, e ora si vendono anche i nostri piatti etnici. Questo porta beneficio alla produzione nazionale ma anche alla nostra autostima, al nostro immaginario per troppo tempo colonizzato, a una rottura degli automatismi rispetto al Dio mercato. Nel 2015, abbiamo sventato un’operazione destabilizzante, simile a quella contro il Cile di Allende e oggi contro il Venezuela. Col pretesto di una sovrattassa doganale e della svalutazione in Colombia e Perù, gli imprenditori hanno aumentato i prezzi del 30-40%, aizzati dalla stampa di opposizione. Grazie alla partecipazione popolare, alle casalinghe consapevoli a cui ci siamo rivolte anche con una telenovela ispirata alla pedagogia degli oppressi di Paulo Freire, abbiamo respinto l’attacco. E così è andata dopo il devastante terremoto di aprile 2016. I comitati d’emergenza alternativi hanno mostrato di non aver bisogno dell’Fmi. Non vogliamo finanziare una porzione della catena del valore, che poi si ferma quando finisce il progetto, ma trasformare dal basso il mercato, le banche, la finanza, coniugando i saperi antichi alle nuove conoscenze…

Per Correa Trump mostra il vero volto degli Usa e la sua presenza potrebbe rafforzare l’integrazione latinoamericana.
Il fenomeno Trump è complesso e ambivalente. Dev’essere compreso nella rapida decomposizione della società Usa e in quella del capitalismo, che non va intesa in modo meccanico o inevitabile. Pur all’interno di una crisi strutturale di sovrapproduzione del sistema, il capitalismo, nella sua logica, può avere altre opzioni. Per dirla con Sartre, sono condannati a scegliere. E negli Usa stanno scegliendo di retrocedere. Trump è l’espressione di questo ritorno indietro. Il cuore produttivo dell’egemonia Usa che si andava preparando già dalla sconfitta del sud schiavista nella Guerra di secessione, tutto il cordone industriale è stato smantellato e questo ha costi sociali molto elevati. Trump esprime livelli di frustrazione sia dei settori popolari – che interpreta nei termini del suprematismo bianco, della xenofobia, della misoginia – ma anche l’esasperazione delle alte sfere del capitale monopolistico produttivo. I problemi strutturali del capitalismo determinano difficoltà inedite. Il blocco dell’espansione della base produttiva, il predominio del capitale speculativo transnazionale e una logica di compressione della forza lavoro creano contraddizioni nelle stesse sfere del capitalismo. Per «risolverle», occorrerebbe la ripresa dello sviluppo sociale, la redistribuzione della ricchezza su scala mondiale. Ma questa è una scelta politica. Quel che sta predominando è la logica speculativa, a cui non interessa che si paghino il capitale e gli interessi, ma che si perpetui il debito estero. Una crisi che porta alla guerra, e può riguardare il cuore dell’Europa, grande concorrente di Trump.

Con il Brasile a destra, dove vanno i Brics?
Dall’esempio dell’Alba, dalla moneta compensativa come il Sucre, alternativa al dollaro, dalla Banca del Sud, si va costruendo una nuova alternativa finanziaria, non solo a livello continentale, ma anche locale. È una tendenza in marcia. Ora c’è la Banca asiatica di investimento e infrastruttura. La Banca di sviluppo dell’Asia del nord con gli stessi principi del Banco del sur. Blocchi regionali per contenere le mire predatorie del capitale e l’azione del capitale speculativo. Un cambio di prospettiva che potrebbe coinvolgere anche l’Europa in nuovi meccanismi alternativi transnazionali di interscambio per esempio con le piccole e medie imprese.

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