Cultura

L’economia fuori schema

L’economia fuori schemaOperai e carpentieri al lavoro nel dopoguerra

Saggi Il nuovo Annale della Fondazione Giuseppe Di Vittorio dedicato al rilancio del lavoro nell'Italia del dopoguerra. Si parte dalla crisi del '29 per poi guardare ai piani francesi e al New Deal americano

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 24 marzo 2015

In tempi di dominio liberista, rimettere al centro il lavoro è più che una necessità. Studiare le ricette del passato è ancora meglio e quindi si farebbe bene a non perdere questo nuovo Annale della Fondazione Giuseppe Di Vittorio dedicato a Il piano del lavoro del 1949 – Contesto storico internazionale e problemi interpretativi (Ediesse, pp. 384, euro 20). Va soltanto detto che questi Annali, come capita spesso a molte raccolte dei lavori delle Fondazioni, andrebbero rivitalizzati per evitare una seriosità che può renderli prodotto burocratico di élite.

Il volume di saggi, nella prima parte, analizza il contesto internazionale in cui si rispose – negli Stati uniti, l’Urss, la Germania, la Francia e il Belgio, la Gran Bretagna e l’Italia – alla crisi economica del 1929; per poi concentrarsi nella seconda parte sul piano del lavoro della Cgil del 1949 nel nostro paese.

L’ambizione del volume è anche quella di intromettersi nel problema oggi, con accenni al nuovo piano della Cgil di due anni fa ed è ciò che suggeriscono Fabrizio Loreto e Stefano Musso nell’introdurre i tredici saggi del libro. Un discorso solo accennato, ma forse è meglio così, perché richiederebbe altra trattazione. Oltre a porre qualche interrogativo scottante sulla capacità, per un sindacato in gran parte burocratizzato, di avere la stessa spinta propulsiva del dopoguerra.

Dunque è la pianificazione, parola stupidamente in disuso oggi, ad emergere negli interventi sulle ricette post crisi 1929 nel contesto internazionale. E se Marco Gozzelino, nella sua dissertazione sul New Deal, rimarca l’ispirazione che esso ebbe sul Piano del lavoro della Cgil del 1949, David Bidussa si sofferma invece sul piano (plan) francese e belga con un utile premessa sul significato politico della parola: «Il planismo è stato interpretato come un movimento di idee votato a dare ruolo e spazio al lavoro produttivo e al sapere applicato. Include nel proprio progetto la domanda di riforme politiche facendone un piano complementare di riflessione».

Edmondo Montali, Rita Di Leo, Michele Colucci, Lorenzo Mechi completano la prima parte con le loro dissertazioni sulla Germania nazista, l’Urss, la Gran Bretagna, il Piano sovranazionale Schuman (carbone e acciaio). A Stefano Musso tocca poi l’analisi sulle politiche contro la disoccupazione in periodo fascista. Le ricette di quegli anni, soprattutto quelle del planismo francese e del New Deal americano, fanno da sfondo al Piano della Cgil di Giuseppe Di Vittorio nel 1949 con soluzioni che rilanciano il lavoro come centralità della persona e spinta all’economia sociale con interventi sull’edilizia popolare, sull’elettricità, sulle bonifiche. E qui, mentre Adolfo Pepe sottolinea i limiti del piano in ambito industriale e Fabrizio Loreto fa risaltare l’abbandono di vecchi schemi e l’apertura innovativa da parte della Cgil pur con contraddizioni, Maria Paola Del Rossi ci consegna una disamina dettagliata su come venne accolto il piano nelle realtà territoriali e sulle contraddizioni che si aprirono.

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