ExtraTerrestre

L’economia circolare di oliva e sansa

L’olio di oliva è ottenuto nei paesi mediterranei, da almeno tremila anni, macinando le olive; la pasta omogenea risultante viene poi pressata facendone colare l’olio insieme ad una parte dell’acqua […]

Pubblicato circa 6 anni faEdizione del 25 ottobre 2018

L’olio di oliva è ottenuto nei paesi mediterranei, da almeno tremila anni, macinando le olive; la pasta omogenea risultante viene poi pressata facendone colare l’olio insieme ad una parte dell’acqua dalla quale l’olio è poi separato. Il contenuto di olio è di circa 15-20 chili per ogni 100 chili di olive; dalla spremitura restano circa 40-50 chili di un panello umido (la sansa) contenente ancora circa 2-3 chili di olio. La sansa per secoli era considerata un rifiuto, buttata via o bruciata o dispersa nel terreno, anche con qualche beneficio perché contiene piccole quantità di sali potassici. Anticipando il concetto modernissimo di economia circolare, l’imprenditore pugliese Vito Cesare Boccardi (1835-1878), durante un viaggio in Germania, intorno al 1865 venne a conoscenza della possibilità di estrarre il grasso dalle ossa mediante solfuro di carbonio, un liquido volatile, con odore sgradevole, infiammabile e tossico da respirare, ma che si rivelò subito un buon solvente dei grassi. Boccardi seppe che la ditta tedesca Heyl, alla periferia di Berlino, estraeva con solfuro di carbonio olio anche dai pannelli di vari semi oleosi e pensò di applicare il processo alle sanse di oliva per ottenere olio da trasformare in sapone, in un suo sansificio a Molfetta.

Sorsero in breve tempo, in Puglia, Sicilia, Toscana, vari stabilimenti che operavano con ciclo integrale: estraevano olio dalle olive, poi recuperavano dalle sanse l’olio residuo usando come solvente il solfuro di carbonio che essi stessi producevano. Dapprima l’olio di sansa, di colore verde intenso per la clorofilla che veniva estratta insieme all’olio, era considerato non adatto ad uso alimentare e veniva impiegato per la fabbricazione del sapone, apprezzato perché, per il suo elevato contenuto di acido oleico, permetteva di ottenere dei saponi meno duri di quelli ottenuto con grassi ricchi degli acidi palmitico e stearico. L’olio al solfuro era oggetto di esportazione, specialmente negli Stati Uniti; un saponificio di Milwaukee fondato nel 1864 da un tale Caleb Johnson, nel 1898 diede il nome palmolive al sapone, dal caratteristico colore verde, fatto con gli acidi grassi dell’olio di sansa di oliva italiano. La fabbrica fu poi assorbita dal saponificio Colgate e il nome Palmolive è ora marchio di fabbrica di questa multinazionale dei detergenti.

Queste operazioni di antica economia circolare non erano prive di inconvenienti: i sansifici che producevano olio al solfuro erano soggetti a esplosioni e incendi ed erano inclusi fra le industrie esposte a rischio di incidenti rilevanti, da localizzare fuori dalle città. Per questo motivo già agli inizi del Novecento il solfuro di carbonio fu sostituito con benzina o altri idrocarburi meno pericolosi.Con vari perfezionamenti è stato possibile eliminare colore e sapori sgradevoli dall’olio di sansa e farne un olio adatto ad usi alimentari che poteva anche essere miscelato con olio di pressione e venduto come «Olio di sansa e di oliva». L’olio di sansa è ancora prodotto e commerciato; le sanse esauste, dopo l’estrazione dell’olio, trovano impiego come miglioratori del terreno o come combustibili, altra prova che l’economia può operare a cicli sempre più chiusi: natura-merci-natura.

ABBONAMENTI

Passa dalla parte del torto.

Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento