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L’ecatombe nelle rsa di Milano e Lodi. Nei primi 4 mesi mortalità pari al 22%

L’ecatombe nelle rsa di Milano e Lodi. Nei primi 4 mesi mortalità pari al 22%Presidio davanti al Pio Albergo Trivulzio di Milano – LaPresse

La strage degli anziani I dati dell’Ats e il rimpallo di responsabilità sulla delibera dell’8 marzo, in cui si dava la possibilità alle strutture di accogliere pazienti Covid dimessi dagli ospedali

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 12 giugno 2020

Mentre a Roma continuano le audizioni dei pm di Bergamo e si indaga per accertare le responsabilità del disastro lombardo nelle settimane cruciali della pandemia, i dati di Ats sui morti di Covid nelle rsa arrivano come uno schiaffo. L’Agenzia di tutela della salute della Città Metropolitana di Milano (che comprende anche il distretto di Lodi) ha reso pubblici i numeri – anche se parlarne in questi termini sembra brutale – dei decessi nelle residenze per anziani: 5.500 morti in più tra gli over 70 rispetto alla media del 2019 solo nei primi 4 mesi del 2020. Il 46% di queste morti, spiega l’ente che ha divulgato i dati, si è verificato nelle 162 rsa milanesi e lodigiane che “grazie” alla delibera regionale dell’8 marzo hanno accolto all’interno delle proprie strutture pazienti affetti da coronavirus dimessi dagli ospedali in sofferenza. Delibera che ha solleticato gli interessi di alcune rsa, già in difficoltà economica prima della pandemia, ad accettare di offrire “su base volontaria la propria disponibilità” a ospitare pazienti in cambio di una quota di 150 euro al giorno erogata dalle casse regionali.

All’interno delle case di cura «la mortalità totale del periodo – aggiungono da Ats – è stata pari al 22 per cento». Una cifra che sembra ancora più incredibile se si pensa che a rimetterci la vita siano stati anziani in difficoltà. Ma dai vertici di Ats Milano, il direttore generale Walter Bergamaschi cerca di minimizzare le ricadute della delibera regionale spiegando che «l’eccesso di mortalità da Covid-19 è legato alla fragilità di queste persone» e che anche nel resto dei paesi europei si è adottato lo stesso metodo di spostamento dei malati con una mortalità pressoché simile se non addirittura superiore.

Questo ennesimo rimpallo di responsabilità certo non stupisce: aveva iniziato il governatore Fontana, che il 17 aprile, pochi giorni dopo l’apertura dell’indagine per le morti nelle case di cura, aveva dichiarato di essersi «affidato al parere dei tecnici che avevano proposto la soluzione» e che la colpa fosse di Ats. Che l’Agenzia voglia ora allontanare da sé il sospetto è un atteggiamento che s’inserisce perfettamente nella retorica di questa crisi sanitaria. Scaricare le colpe su chi, poi? Le rsa, dal canto loro, si trincerano nel silenzio della burocrazia ma attendono anche loro l’esito delle indagini. Le testimonianze di medici e operatori sanitari delle case di cura, che denunciano le minacce ricevute e le intimidazioni a non raccontare cosa è realmente accaduto, ormai non si contano più e i familiari dei morti chiedono la verità. A Bergamo, il comitato per le vittime vuole il commissariamento di Ats. Per chi, invece, ha ancora familiari all’interno delle rsa, alla preoccupazione si aggiunge l’indignazione per non poter ancora andare a far loro visita.

La delibera di Palazzo Lombardia dello scorso 9 giugno, infatti, autorizza solo l’accesso di altri pazienti (non positivi) e le visite urgenti ai familiari, solo previa autorizzazione. Nessuna deroga. Ed è proprio per questo motivo che il comitato Verità e Giustizia per le vittime del Trivulzio (struttura finita al centro dell’indagine) sarà ricevuto oggi pomeriggio dal prefetto di Milano, Renato Saccone. «Vogliamo che venga accolta la nostra richiesta di far visita ai nostri cari. È una questione di massima urgenza. – spiega Alessandro Azzoni, portavoce del comitato. – Vedere un volto familiare migliorerebbe la condizione psicofisica di questi malati. Chiediamo solo un po’ di umanità».

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