In un museo dedicato al corpo umano, vi sono gli esempi di quanto l’anatomia subisca una stratificazione di storie. Sta di fatto che se di un polmone o di un cuore si possono trovare numerose declinazioni, per non parlare di fegati o testicoli, sarà forse in un bugigattolo che si potrà osservare un utero. Così almeno è capitato a Leah Hazard, tra le stanze del Surgeons’ Hall Museum di Edimburgo. All’epoca giornalista che cambia professione per seguire la sua passione per l’anatomia diventando ostetrica, mentre si sta interrogando della scarsità di attenzione dedicata a quest’organo (sì e no tre teche), sente il commento di due ragazze divertite che dinanzi alla stessa constatazione esclamano: «Viva l’utero!».

HAZARD SPIEGA le ragioni di questa esultanza in un volume tanto originale quanto interessante, che intitola proprio così: Utero. Storia intima del luogo da cui tutti veniamo (Ponte alle Grazie, pp. 395, euro 19,80, traduzione Benedetta Gallo) e imbastisce un ordito importante, fisiologico, antropologico e politico, che ripercorre età e trasformazioni di qualcosa di cui si sa troppo poco. Leggendo il testo si acquisiscono diverse informazioni, la prima è che l’utero «normale» è un costrutto sociale eppure – come spesso accade a tutto ciò che attiene ai corpi delle donne – alcune definizioni, tassonomie e deviazioni medicalizzanti sono state date da uomini che da secoli ci vorrebbero rendere edotte su come funzionano le cose, dandoci lezioni anche sui nostri apparati. Sono tanti, per esempio autori e fautori della sterilità, della purezza oppure ancora di una isteria che ha variamente imperversato nelle analisi (e psicoanalisi) maschili. Hazard avvia invece il suo ragionamento dalla meraviglia che risiede nei corpi delle donne, non cedendo all’astrazione né alla mistica della femminilità. È una intimità in relazione speciale ed esclusiva con il proprio utero ma anche in conversazione collettiva e non strumentale su di esso, con narrazioni di diverse esperienze.

L’UTERO non è mai un deserto, anche quando non si prepara a ospitare una creatura, sia pure molte e legittime siano le pagine dedicate al concepimento, alla gravidanza, e ancora all’aborto e al parto. Ciò per dire che se per il modello capitalista l’unica funzione accettabile è la riproduzione, per Leah Hazard l’utero esiste a prescindere, in numerose e differenti fasi, ed è degno di studio, interesse. Dall’infanzia alla vecchiaia, dalla fertilità al ciclo mestruale e alla menopausa, dai fibromi ai tumori esponendo una serie di casi, risorse scientifiche e ipotesi sulla salute delle donne, con sguardo liberamente femminista e dunque già intersezionale riguardo le classi e le diverse latitudini, l’autrice spazia con rigore, sapienza e una giusta dose di ironia intorno a numerosi concetti, tra i quali spicca quello di amore. È allora più di un organo sopraffatto e oppresso e i suoi segreti misteriosi sono, per molti versi, l’esito di una conoscenza insufficiente.

* Domani a Roma nell’ambito di «inQuiete festival di scrittrici» (ore 19, Cinema Avorio), Leah Hazard presenterà il suo libro in dialogo con Loredana Lipperini.