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Le voci di dentro: un podcast da Nisida

Le voci di dentro: un podcast da Nisida

In onda Protagonisti su Radio 3 della trasmissione radiofonica sono i ragazzi dell’Istituto di Pena Minorile di Nisida, a Napoli

Pubblicato 6 mesi faEdizione del 1 giugno 2024

«Oggi mi sono svegliato piangendo, non so perché, mi capita spesso. Quando apro gli occhi e mi rendo conto di stare piangendo, vado avanti per un po’, finché non mi lavo la faccia. È strano piangere senza sapere il motivo. Non mi faccio vedere da nessuno. Sono molto forte, nessuno deve pensare che sono debole. Oggi ci sta teatro?».

«M.» è uno dei protagonisti de Le voci di dentro, podcast radiofonico scritto e interpretato dai ragazzi dell’Istituto di Pena Minorile di Nisida. La serie, in onda dal 24 maggio su Radio 3, è stata realizzata dalla compagnia napoletana Putéca Celidònia, co-prodotta dalla Fondazione Eduardo De Filippo e dal Teatro Nazionale di Napoli, con il sostegno del Ministero della Cultura, della Regione Campania e del Dipartimento di Scienze del Patrimonio Culturale dell’Università di Salerno, in collaborazione con Rai Radio3. Sei puntate che esplodono di vita, liberi pensieri, musica, e voci che ti restano addosso, dentro.

«Dal 2020 conduciamo un laboratorio teatrale nell’Istituto di Pena Minorile di Nisida», racconta Emanuele D’Errico, classe 1995, regista e drammaturgo di «Putéca Celidònia», compagnia nata nel primo anno della Scuola per attori dello Stabile di Napoli, allora guidata da Luca De Filippo. La ricerca sulle voci della città è parte fondante della loro ricerca, pensiamo a A voce ‘ro vico, progetto di laboratori permanente alla Sanità che si concludono ogni anno con un’installazione sonora e teatrale in strada, o Felicissima Jurnata, (candidatura Ubu ’23 migliore attrice a un’indimenticabile Antonella Morea), riscrittura napoletana di Beckett nata da interviste e registrazioni di storie e personaggi del quartiere.

«L’anno scorso il direttore dell’Ipm di Nisida Gianluca Guida ci ha proposto di tenere anche un corso di drammaturgia ispirato a Eduardo, coinvolgendo la Fondazione. Con la professoressa Annamaria Sapienza, tutor scientifico del progetto, abbiamo ragionato sulle tematiche delle sue opere. Abbiamo scelto i ragazzi consigliati dal direttore e dagli educatori. Il laboratorio di scrittura è durato circa sei mesi. Ci vedevamo due, tre volte a settimana; tutto era incentrato sullo sblocco emotivo attraverso la scrittura».

La serie va in onda nel giorno del cento ventiquattresimo compleanno di Eduardo che nel carcere di Nisida fece costruire un teatro (oggi chiuso) che porta il suo nome. Il suo assillo per i giovani più svantaggiati di Napoli è testimoniato anche nel primo discorso da Senatore a vita, citato nella prima puntata del podcast in cui i richiami al drammaturgo sono costanti. Poesie, discorsi, estratti di testi tornano in ogni puntata ma è sulla questione pedagogica portata avanti da Eduardo – il grande nervo scoperto di Napoli – che questa serie lavora di fino, mettendo a nudo diversi momenti di un processo al tempo stesso creativo ed educativo, in cui i fallimenti e le crisi sono dietro l’angolo.

«Il tentativo iniziale era far nascere una drammaturgia col suo stile. Ci siamo chiesti cosa scriverebbe Eduardo oggi. Abbiamo cominciato a ideare una storia con i ragazzi ma quando provavamo a entrare in meccanismi drammaturgici li perdevamo. Finito il corso, mi sono reso conto che non poteva nascere una drammaturgia. Avevamo materiale umano, appunti, provocazioni, la frustrazione e le difficoltà di andare fino in fondo che ci portavamo dentro, mentre eravamo lì. C’era qualcosa in ciò che i ragazzi scrivevano, nei flussi, per sbloccarsi, di molto interessante. Il processo stesso valeva la pena di essere raccontato».

Da qui è nata l’idea del podcast, delle «voci di dentro». Da dentro al carcere e interne ai vari personaggi, in un continuo contrappunto tra pensieri interiori dei ragazzi e dell’insegnante e le voci «di fuori», parte dei dialoghi reali che avvenivano. «Ciò che viene detto e non detto» dai poco più che adolescenti Mariano, «M.», Agostino, Francesco, Raffaele; dall’insegnante che tiene gli incontri, dalle guardie recitate dagli attori della compagnia. A fare da corollario alcune interviste, come quella a Peppino, cuoco a Nisida dal 1978, che spiega quanto il carcere abbrutisca anziché riabilitare; al giornalista Giulio Baffi che sottolinea l’attenzione che Eduardo poneva sulla necessità di fornire strumenti e attività pratiche per «uscire» dal carcere e non tornarci più.

Discorsi che stridono con la direzione «punire per educare» intrapresa dal governo col recente decreto Caivano che ha prodotto un’impennata record di ingressi di minori negli Ipm: cinquecento solo nei primi mesi del 2024, secondo i dati dell’ultimo Rapporto dell’Associazione Antigone sulla giustizia minorile che sottolinea come « l’aumentata possibilità introdotta di trasferire i ragazzi maggiorenni dagli Ipm alle carceri per adulti sta facendo vedere i propri effetti, con danni enormi sul futuro dei ragazzi». Ancora più importante, dunque, scardinare i falsi immaginari su questa realtà. «Le voci di dentro» è prima di tutto un esercizio ascolto che si distacca dal filone di narrazioni posticce, moralistiche, troppe volte strumentali prodotte per il grande pubblico.

«Una volta sistemato il materiale, abbiamo iniziato a registrare. I ragazzi del corso di recitazione hanno interpretato il materiale emerso dal laboratorio di drammaturgia, entrando nei panni di un compagno attraverso un lavoro di aderenza al personaggio, dettata anche dalla vicinanza d’età. Non si è rischiata una narrazione in cui si mette al centro il personale. Non ci interessa strumentalizzare le loro storie, ma far emergere un’umanità legata a quello che sentono, nella loro fragilità, crudezza, schiettezza, attraverso emozioni, fallimenti, frustrazioni. L’identità che viene fuori nella loro voce è così forte, anche nella carenza tecnica, che la grande difficoltà paradossalmente l’abbiamo avuta con gli attori professionisti della compagnia». La concretezza della radio ci conduce dentro al carcere, «ascoltare e immaginare è un lavoro che ancora diverso da quello che fanno cinema e teatro. Attraverso le voci e suoni sei obbligato a immaginare quei volti, quel luogo. Ognuno si costruisce la propria Nisida».

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