«Le vele scarlatte», controvento verso l’utopia
Al cinema Nel primo film in francese di Pietro Marcello, un padre e una figlia vivono della loro arte tra le due Guerre. Le immagini d’archivio raccontano l’epoca, segnata dallo sviluppo dell’industria; l’attrice Juliette Jouan, all’esordio, ha ispirato la scrittura del suo personaggio
Al cinema Nel primo film in francese di Pietro Marcello, un padre e una figlia vivono della loro arte tra le due Guerre. Le immagini d’archivio raccontano l’epoca, segnata dallo sviluppo dell’industria; l’attrice Juliette Jouan, all’esordio, ha ispirato la scrittura del suo personaggio
Il nuovo racconto di Pietro Marcello è stato girato in Normandia ed è il primo film francese di questo cineasta che, prima di iniziare le riprese, non conosceva la lingua di Balzac e che nonostante questo è riuscito a condurre la propria équipe attraverso un genere che per eccellenza è iscritto in un luogo, in una lingua, in una cultura. Il cinema contadino, di cui sia l’Italia che la Francia hanno dato nel tempo degli esempi mirabili, al quale Marcello guarda senza soggezione, con l’idea di non imitare nessuno e di creare, alla maniera di un artigiano nel suo atelier, un oggetto unico più che una declinazione del genere.
COME ANNUNCIATO dal titolo, L’envol – tradotto in italiano con Le vele scarlatte – è un film arioso. Ed è la prima cosa che colpisce, perché i temi affrontati sono numerosi e per nulla leggeri. Al centro, c’è il rapporto tra un padre vedovo e sua figlia. Sullo sfondo, c’è la pratica dello stupro e della violenza che i maschi del paese si tramandano da una generazione all’altra. Accanto al paese, c’è una comunità di reietti a trazione matriarcale, «la corte dei miracoli». In questa oasi costantemente minacciata appare poi un altro tema, quello delle arti, nelle quali i protagonisti trovano il loro sostentamento tanto quanto sublimano la propria esistenza.
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Pietro Marcello: «Ho distrutto il principe azzurro per dare voce al matriarcato»Senza questa porosità tra la finzione e la produzione del film, L’envol non sarebbe altro che una simpatica fiaba. Paradossalmente, è con i bellissimi archivi che Pietro Marcello iscrive il proprio film nella realtà presente. Invece di costose scenografie e improbabili ricostruzioni, il film crea l’epoca con le immagini dei soldati dell’armistizio nella Baie de la Somme o con estratti del film di Julien Duvivier Au bonheur des dames (1930). Queste immagini d’archivio sono «presenti» in tre modi. In primo luogo, esse sono quello che rimane oggi di queste epoche passate. In secondo luogo, esse sono presenti a noi nella loro incredibile potenza e nell’emozione che trasmettono. Infine, sono presenti nel senso di un certo momento che il cinema attraversa.
NELLE NOSTRE sale troviamo da un lato film che spendono centinaia di milioni di euro, in un caso miliardi di euro, per creare universi immaginari. E dall’altro, un cinema d’autore che è sempre più impoverito. Questa evoluzione fa parte di uno dei tanti motivi del film: con l’arrivo dei giocattoli elettronici, gli artefatti di legno che Raphael crea non incontrano più l’immaginario dei bambini. La reazione non può essere allora quella di rincorrere l’industria ma, volando in direzione opposta, usare quello che esiste già. Si può sorridere a questo elogio della diversità che il film dispensa, come in genere si sorride delle utopie. Ma certo un sorriso è meglio che un piagnisteo. E, anche se questo nuovo racconto anarchico può sembrare più poetico che politico, bisogna pure ammettere che Pietro Marcello non si limita a dire che un cinema diverso è possibile, lo fa.
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