Piemonte, le valli resistenti
Anticipazione Stralci dal volume «Terzo Valico, l’altra Tav», per Round Robin editrice
Anticipazione Stralci dal volume «Terzo Valico, l’altra Tav», per Round Robin editrice
Le case ordinate, le vie parallele, orti e giardini curati, palazzi tutto sommato anonimi. Niente farebbe immaginare che questa cittadina di poco più di 6 mila abitanti, situata sulla sponda sinistra dello Scrivia, sia la capitale della protesta contro il Terzo Valico. Un po’ come Bussoleno in Val di Susa, altro piccolo tempio di resistenza. Basta, però, addentrarsi nelle strade del Comune Alessandrino, da dove iniziano le valli Borbera, Scrivia e Spinti e dove l’accento è già ligure, per accorgersi che tutti i negozi espongono l’effigie con il treno crociato.
E che qui l’aria ha un sapore particolare. Magari capita di incontrare Lina Camussa, maestra in pensione, che a bordo della sua Ape Piaggio volantina nel centro del paese o trasporta le sedie dal presidio di Radimero, dove dovrebbe insediarsi la talpa per scavare il tunnel, al circolo dei No Tav, che è stato inaugurato a inizio 2015 in via Libarna, nel cuore del borgo. Il suo battesimo di fuoco, assolutamente nonviolento, è avvenuto il 10 luglio del 2012, durante i blocchi contro gli espropri del Cociv.
Una giornata particolare
«Era la prima volta che partecipavo a un’azione di disobbedienza. L’appuntamento era per le 8 a Libarna, frazione di Serravalle Scrivia. Non ero spaventata. In realtà non avevo la più pallida idea di cosa sarebbe successo. Sono arrivata trafelata davanti alle abitazioni il cui terreno era soggetto ad esproprio. Eravamo in tanti. Ci siamo disposti davanti al cancello di Jole Perassolo e, poco dopo, sono arrivate due macchine del Cociv da cui sono scese due persone. Tutti gridavano e, a quel punto, anch’io l’ho fatto. È stata una giornata particolare: la mia prima volta. Davvero emozionante. Eravamo pacifici ma determinati. E chi non lo era, lo è diventato».
Lina aveva vissuto per molti anni vicino allo stabilimento Cementir di Arquata, cementificio prima dell’Iri e poi del Gruppo Caltigirone. «Con i miei genitori abitavo in località Campora, che dal 1959 ha ospitato in mezzo alle case il fabbricone. Da quel momento la nostra vita è diventata piena di polvere. Ce n’era dappertutto. E proprio lì, nella casa che mio papà aveva costruito mattone su mattone, è nata la mia sensibilità verso il problema dell’inquinamento, il mio spirito ambientalista. Per quella parte del Comune era una vita grama con odori e rumori molesti a ogni ora del giorno. Io me ne sono andata via a 23 anni, ma non ho dimenticato la questione. Grazie alle proteste degli abitanti si è arrivati finalmente a un processo».
Una vita piena di polvere
A giugno del 2015 le lamentale dei cittadini di Campora hanno avuto una risposta: la Cassazione ha ritenuto Leonardo Lauricina, ex direttore dello stabilimento a processo per la seconda volta per fatti analoghi, responsabile dei danni arrecati alla popolazione per le emissioni delle polveri tra il 2008 e 2010, condannato al pagamento delle spese processuali e al rimborso di quelle sostenute dalle parti civili.
Arquata Scrivia è un centro ben più antico di quel fabbricone, che al tempo sembrava in grado di risolvere ogni problema. Il suo nome comparve per la prima volta su documenti ufficiali nel 1077, quando l’imperatore Enrico IV aveva comunicato il possesso del villaggio a Ugo e Folco d’Este. L’appellativo di “Arquata” deriva, probabilmente, dal latino arcus e, come spiega il sito del Comune, si riferisce alle arcate che scandivano l’acquedotto romano. La cittadina alessandrina si sviluppava nel territorio anticamente dominato dalla città romana di Libarna, lungo la Postumia: via consolare che collegava Aquileia a Genova passando per Vicenza, Verona, Cremona, Piacenza, Voghera, Tortona e attraversando gli Appennini, nei pressi del passo della Bocchetta.
A favore del Terzo Valico
Arquata, oltre ad aver dato i natali un po’ “per caso” a Peppe Servillo, musicista casertano voce degli Avion Travel e fratello di Toni, attore di cinema e teatro di fama internazionale, è il Comune d’origine di Enrico Morando, viceministro dell’Economia nel governo Renzi, e politico di lunghissimo corso (Pds-DsPd). Sostenitore del Terzo Valico, il senatore nel 2012 motivò così la sua posizione in un’intervista a un periodico locale: «Sono nato in un paese, Rigoroso di Arquata, dove erano tutti ferrovieri, e mi insegnarono che le ferrovie sono di sinistra, e le autostrade di destra. Devo dire che, anche alla luce di una successiva sensibilità di tutela ambientale, sono rimasto di quell’opinione».
Vox populi vuole, però, che sia riuscito a far stralciare dal progetto originario una galleria di servizio (la finestra di Rigoroso) a due passi da casa propria. Insomma, si può essere nimby e a favore. Ma torniamo alla ex maestra, Lina Camussa, che da un pezzo è una No Tav. Lontana dagli stereotipi televisivi che vorrebbero il militante contro il treno veloce incappucciato o trinariciuto.
Nel movimento No Tav
È una signora mite che racconta con dolcezza la sua avventura nel movimento. Seduta su una sedia nella nuova sede di via Libarna, piena di fotografie, pacchi di volantini e dove gli attivisti si riuniscono ogni settimana, spiega quali furono le sue prime perplessità nei confronti dell’opera: «Una galleria di 27 chilometri, a cui se ne aggiungeva un’altra sotto Serravalle, avrebbe sconvolto l’assetto delle falde acquifere. Andando, poi, a conoscere i dati di traffico merci e le previsioni gonfiate mi sembrava tutto stonato. La volontà di passare il trasporto da gomma a ferro non era sincera».
Alle sue spalle, lavora senza mai stancarsi Tiziana Patri, compagna di Alessandro, anche lui attivista, e mamma di una bimba, Ada, di 6 anni. Vivono a Moriassi, vicino a uno dei cantieri della grande opera. Saliamo in macchina e mi porta vicino alle reti. Appena lasciato il capoluogo del Comune le strade si inerpicano, ma senza troppi strappi. «Lo smarino – racconta Tiziana – viene depositato a duecento metri da casa nostra e ogni giorno passiamo nei pressi del cantiere, facendo la chicane tra i camion. Tutti sanno che siamo No Tav, gli operai, il capo cantiere. Leggo il loro labiale, il clima non è sereno. Spesso ci siamo chiesti se sarebbe stato sano continuare, soprattutto per nostra figlia. O se era meglio andarsene. I bambini sono spugne. Ada un giorno al buio mi ha detto: “Mamma io da grande avrò due bambini, probabilmente gemelli, non so se un maschio e una femmina, ma ti dico una cosa, abiterò ancora a Moriassi”. È stato un momento di forte commozione. E, in una fase di stanca, mi è tornata la determinazione».
Un faldone determinante
La scoperta del Terzo Valico, che allora era ancora Milano-Genova, per Tiziana avviene all’inizio degli anni Novanta, quando un amico che lavora in un ufficio tecnico si vede arrivare sul tavolo le carte relative alla futura opera. «Mi informò perché mi avrebbe riguardato da vicino e capii subito che quel faldone mi poteva drasticamente modificare la vita. È così cominciata un’avventura che ha avuto alti e bassi, annunci e stop. Solo negli ultimi anni la protesta ha acquistato intensità e il nostro quotidiano ne è stato invaso. Ora siamo una comunità. È importante confrontarsi con gli altri, con persone con sensibilità diverse, perché ognuno di noi si incastra con l’altro. Siamo un puzzle».
Claudio Sanita è il leader del movimento No Tav Terzo Valico, anche se preferirebbe non vedersi affibbiata quest’etichetta, ma è un dato di fatto. E lui non lo dà a pesare. E pensare che, a fine anni Novanta, Tiziana e Claudio si erano trovati su fronti opposti in un’accesa discussione, a margine di un’assemblea ad Arquata. Quel giorno del 1998 qualcosa cambiò per sempre: «Me la ricordo come se fosse adesso – racconta Claudio, classe 1978 e arquatese doc – io militavo in Rifondazione comunista, ero il giovane segretario locale e, come il mio partito, non avevo ancora una posizione chiara nei confronti dell’infrastruttura. Rimasi scosso da quel confronto. Compresi che senza la partecipazione e il consenso delle persone non si fa nulla. Che l’autonomia del politico era una balla. Mi dimisi da segretario di Arquata, qualche anno dopo anche dal partito. E lì nacque il mio cammino movimentista che mi portò prima al G8 di Genova e, poi, nel mondo dei centri sociali. Il mio era e resta un percorso collettivo, mai solitario, ricco di domande, come ci aveva insegnato lo zapatismo, che fu storicamente la prima grande lotta per un mondo diverso dopo il crollo del muro di Berlino e la giusta sconfitta del modello comunista sovietico. “Abbiamo le armi, ma non le vogliamo”, dicevano i militanti dell’Ezln, l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale. E il subcomandante Marcos sosteneva: “Quello che cerchiamo, quello di cui abbiamo necessità, quello che vogliamo è che tutta la gente senza partito né organizzazione si metta d’accordo su ciò che vuole e si organizzi per ottenerlo, preferibilmente per vie pacifiche e civili, non per prendere il potere ma per esercitarlo”. Ecco perché la mia critica al Terzo Valico nasce da problemi di ordine democratico e di rappresentanza politica. Perché, continuo a chiedermi, un’opera immensa non viene discussa?».
Un osservatorio privilegiato
La particolarità di Claudio è che è anche un ferroviere: macchinista dal 2001 al 2006 e, poi, impiegato ad Alessandria. «Lo sono diventato per caso. Dopo il diploma ho iniziato a lavorare in fabbrica. Una notte mentre tornavo a casa, trovai mio padre ancora sveglio. Si avvicinò e mi disse, domani vai a Torino e provi a dare il concorso in ferrovia. Devo ancora dirgli grazie». Dipendente di Trenitalia, trasporto regionale, si è trovato in un osservatorio privilegiato: «In 14 anni ad Alessandria molte linee periferiche sono state chiuse. Non ci sono abbastanza treni merci, tuttora in diminuzione, per motivare la costruzione del Terzo Valico. La stragrande maggioranza dei ferrovieri pensa che sia un’opera assurda, non c’è nessuno in Europa che progetti una linea che contempli sia Alta capacità sia Alta velocità. Ed è bene ricordare come i carri merci in Italia non superino i 120 km/h di velocità. Il Terzo Valico, bocciato più volte nel corso degli anni, non nasce da una necessità».
Il 15 dicembre del 2005 va in scena il primo embrione di quello che Claudio Sanita chiama la seconda vita del movimento contro il Terzo Valico. In occasione del consiglio provinciale di Alessandria, al diniego di poter intervenire come No Tav al dibattito, venne organizzata una contestazione con il lancio di volantini. Rifondazione votò contro, i Comunisti italiani si astennero e i Verdi, non presenti in Consiglio, tolsero il loro appoggio al presidente Paolo Filippi (Margherita) a capo della coalizione di centrosinistra. La Provincia, nonostante i costi lievitassero sempre più, approvò il Terzo Valico.
«Si passava dalla battaglia specificatamente ambientalista a quella popolare. L’esempio era la Val di Susa, il modello non era certo esportabile, ma l’attitudine sì. Il 2005, con la battaglia di Venaus, mutò modi e stili nell’opposizione alle grandi opere. Ritengo sia stato un passaggio culturale: la protesta non era solo di associazioni ambientaliste, secondo una struttura novecentesca, ma si chiedeva a tutti di esserci. Nel 2012 replicammo il modello valsusino dei comitati divisi Comune per Comune, che segnarono la maturità del nuovo movimento. Ma prima ci fu il caldo aprile del 2006». (…)
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