Nelle sua ultime «considerazioni» dopo 12 anni di governatorato in Banca d’Italia, Ignazio Visco bacchetta il governo e conferma la sua linea rigorista su debito pubblico e inflazione. A fine ottobre, alla scadenza del suo secondo mandato, lascerà l’istituto centrale per una successione che la destra già pregusta.

Visco ha parlato a una platea paludata tornata al protocollo pre Covid cercando di trasmettere l’immagine di un paese traghettato fuori dal mare agitato della pandemia meglio di quanto ci si aspettasse. Ma ha richiamato tutti – a partire dal governo Meloni – ai tanti impegni da rispettare. A partire dal Pnrr fino alla infinita richiesta di «riforme».

In prima fila c’era uno dei suoi predecessori, quel Mario Draghi che, a differenza sua, è riuscito a salire al soglio della Bce e di palazzo Chigi, ambizioni mai nascoste dall’attuale governatore.

Visco non ha usato il suo ultimo pulpito per attaccare il governo, limitandosi ad alcune sortite motivate con l’obiettivo della «crescita». A partire dal Pnrr sul quale ha chiesto di «non perdere tempo».

Unica apertura progressista è stata quella dedicata alla «possibilità di prevedere un salario minimo per legge», strumento visto come fumo negli occhi dall’attuale governo.

È rimasto invece inflessibile sul suo mantra per «il contenimento dell’inflazione con il contributo di tutte le forze economiche e non solo con le misure di politica monetaria», «l’annosa necessità di aumentare la produttività e di ridurre il debito pubblico», «la possibilità di riformare il fisco ma senza prescindere dalle coperture adeguate», con un accenno alla progressività prevista in Costituzione che è sembrata l’ennesima bocciatura istituzionale alla flat tax Salviniana, anche in salsa Meloniana.

Una delle preoccupazioni principali di Visco sono i giovani. È proprio a loro che dedica infatti le ultime righe delle «Considerazioni finali»: sono loro che, scrive, «andranno ascoltati, aiutati dalle altre generazioni a formarsi, senza vincoli, per tradurre in interventi realistici gli schemi che sapranno elaborare per un mondo futuro, non più povero, ma più sicuro e più giusto». Quegli stessi giovani che tuttavia, nel 20% circa dei casi, dopo cinque anni di lavoro si trovano ancora in condizioni di impiego precario. Ma Visco osserva che «troppi, non solo tra i giovani, non hanno un’occupazione regolare o, pur avendola, non si vedono riconosciute condizioni contrattuali adeguate» e proprio per questo suggerisce che «come negli altri principali paesi, l’introduzione di un salario minimo, definito con il necessario equilibrio, può rispondere a non trascurabili esigenze di giustizia sociale».

Il giudizio generale sull’economia italiana è comunque buono: «A fronte degli shock di intensità inusitata degli ultimi anni, l’economia italiana ha mostrato una notevole capacità di resistenza e reazione» e per il 2023 il governatore dice di attendersi «un aumento del prodotto interno intorno all’1%». In un momento come questo il Pnrr rappresenta quindi «un raro, e nel complesso valido, tentativo di definire una visione strategica per il paese». Proprio per questo, per quanto alcuni miglioramenti del Piano siano «possibili», Visco avverte che «non c’è tempo da perdere» ed è cruciale «dare attuazione all’ambizioso programma di riforme, da troppo tempo attese, in esso contenute».

Per combattere l’inflazione Visco chiama a raccolta tutti gli attori economici: «Il ritorno dell’inflazione su livelli in linea con l’obiettivo sarà più rapido e meno costoso se tutti – imprese, lavoratori e governi – contribuiranno a questo fine, rafforzando l’efficacia dell’indispensabile ancorché equilibrata normalizzazione monetaria». Senza evocare l’ormai venuta a noia «spirale salari- prezzi» da lui invocata a ogni piè sospinto nell’ultimo anno, per Visco il recupero del potere d’acquisto può essere figlio solo di «una crescita più sostenuta della produttività», in pieno refrain liberista. Ugualmente, la riduzione del debito pubblico «è una priorità della politica economica, indipendentemente dalle regole europee». Passando in rassegna le riforme di cui tanto si parla all’interno del governo, Visco fa riferimento a quella fiscale, poiché sulle capacità di crescita della nostra economia «grava un sistema tributario complesso, su cui si è spesso intervenuti senza un disegno organico». «Una ricomposizione del prelievo che riduca il peso della tassazione sui fattori produttori può stimolare l’occupazione e gli investimenti» dice, ma «nessun intervento può realisticamente prescindere dai vincoli posti dal nostro elevato debito pubblico né dai principi di progressività e capacità contributiva sanciti dalla Costituzione». Nulla quindi si potrà fare senza prima identificare «coperture strutturali adeguate e certe».

Apprezzabili infine i richiami alla difesa dell’ambiente, al ruolo dell’Italia nei rapporti internazionali, «alla necessità di non cadere nel protezionismo e alla giusta importanza che, a fronte dell’invecchiamento della popolazione, bisogna attribuire alle risorse provenienti dai migranti».