Le traiettorie devianti delle immagini
Scaffale «Lo sciopero umano» dell'artista collettiva Claire Fontaine, per DeriveApprodi. Un libro arma-clandestina
Scaffale «Lo sciopero umano» dell'artista collettiva Claire Fontaine, per DeriveApprodi. Un libro arma-clandestina
Raro esempio di libro che respinge per intensità «lo sciopero umano e l’arte di creare la libertà» dell’artista collettiva e luminoso Claire Fontaine, da pochissimo messo in circolazione da DeriveApprodi (pp. 293, euro 16), con la tagliente prefazione della filosofa Ilaria Bussoni. Un libro arma-clandestina, perché lo si prende docile tra le mani, convinti, con pregiudizio, di dover intraprendere un ordinario «a tu per tu» con dense pagine sullo stato dell’arte.
PREVEDIBILE si immagina anche l’epilogo: un sospiro dopo aver sopportato i colpi di una biografia del reale sulla quale di sicuro tesseremo, per affinità con gli editori e con l’artista, la trama di un accordo sul «come ci hanno ridotti». Il mal comune mezzo gaudio ormai si è trasformato in mal comune nessun gaudio, avremmo scritto, se questo libro fosse stato quello che ci aspettavamo: una sconsolante constatazione di un tempo senza insorgenza, in cui le parole della sovversione sanno di polvere anche quando le si è appena pronunciate. Siamo invece al cospetto di un manifesto politico. Spietato nel constatare ciò che già sappiamo, abilissimo nel dargli un ordine e una progressione, come se fosse l’operazione di un bambino davanti all’ingranaggio.
LO SMONTAGGIO aiuta la comprensione non del gioco ma della vita: «Centinaia di corpi saranno rinchiusi presto per aver nuociuto a degli oggetti. Oggi sono gli oggetti i nostri più grandi amori, quelli che desideriamo senza fine. E tu che sei un artista non saprai provarmi il contrario. Qui ci si sente più o meno come altrove. Circondati da un’attenzione malevola, condannati ad assolvere dei compiti inutili. Desiderosi di cambiare, ma senza sapere come. Ci si sente soli». Oltre questo baratro, raccontato con parole spietate di verità, strazianti, emerge però potente e disperato l’amore per la vita nella forma di un metodo, lo sciopero umano. Claire Fontaine qui è armatissima. La sua strategia non è tentata, è meditata, elaborata, vive di altri libri e di altre esperienze del passato.
MA DAL PASSATO non si lascia opprimere, importantissimo inciso che parla della voglia di togliere i piedi da quella melma che lo storico Enzo Traverso ha chiamato magistralmente «la dittatura del presente». Alla quale forse bisogna aggiungere la dittatura delle lotte dei compagni di ieri. Perché il 68 ha regalato la visione dell’antiautoritarismo e ha sottratto l’immaginazione alla clandestinità; perché il 77 e il decennio passato sono stati pieni di afflato, di cacciate del sindacato dall’università, di cacciate di molti dal meccanismo delle università («il sapere che non vuole emancipare abbrutisce»). Ed è vero, si brandiva l’arma della paura lanciandola per guadagnare spazio e diritti.
«Non ci sono lezioni di sciopero umano, solo una inquietante possibilità con cui dobbiamo conservare una relazione intima. Ovunque lo sciopero umano si manifesti dichiara la fine della farsa criminale dell’equivalenza tra denaro e tempo, denaro e spazio, denaro e cibo, denaro e corpi». Antenati dello sciopero umano: l’«irrazionalismo politico». Traiettoria dello sciopero umano: la devianza dall’aspettativa. Immagini che fanno pensare allo sciopero umano: Bartleby che dice I would prefer not to. Ruolo dell’arte per lo sciopero umano: postilla e architettura del libro. Antefatto e postfazione. La libertà si fa feroce.
CLAIRE FONTAINE, ricordando il cavallo blu di cartapesta costruito nel ’73 per sfondare le porte dei manicomi aperti dalla legge Basaglia, con inesorabile lucidità chiede: «Perché l’arte è l’unico spazio di espressione per un lussuoso ed esclusivo principio di realtà che trasforma l’anormalità in ricchezza e ne fa una condizione desiderabile?». Lo sciopero umano riguarda anche l’arte. «Non c’è opera d’arte che non faccia appello a un popolo che non esiste ancora»: era questo l’invito di Deleuze, non a immaginarci come riempire i vernissage ma a costruire destinatari-rivoluzionari.
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