Le terre condivise della «Comuna», 8 secoli di storie
«Abbiamo sempre gestito la Comuna come collettività, in quella strana maniera a metà tra pubblico e privato. E il voler continuare in questa direzione ha creato un forte senso di […]
«Abbiamo sempre gestito la Comuna come collettività, in quella strana maniera a metà tra pubblico e privato. E il voler continuare in questa direzione ha creato un forte senso di […]
«Abbiamo sempre gestito la Comuna come collettività, in quella strana maniera a metà tra pubblico e privato. E il voler continuare in questa direzione ha creato un forte senso di comunità» racconta Stefano Previatello, soprannominato Bubàn.
MENTRE PARLA SORRIDE, ripercorrendo la storia che ha reso Grignano Polesine «il paese della Comuna». Si tratta di centotrenta ettari di terreni bonificati che da oltre ottocento anni sono coltivati dalle diciannove famiglie – chiamate gli originari – che nel corso dei secoli li hanno bonificati. Una storia condivisa che fa parte della quotidianità di chi vive a Grignano.
«QUANDO SI PARLA della Comuna ci sentiamo tutti parte di una grande famiglia», continua Previatello, vicepresidente degli Antichi beni originari (Abo), meglio conosciuti dai gregnanati come la Comuna. «Il compartecipe, chi partecipa alla Comuna, non si sente solo un singolo: è parte di qualcosa di più grande e sa che ciò che ha va trattato con cura e migliorato per chi verrà dopo». Quando parla, Previatello usa sempre il noi. Una prima persona plurale che abbraccia le tante generazioni che, da padre in figlio, si sono susseguite nel corso dei secoli.
LA «COMUNA» NASCE DALLA CONCESSIONE in enfiteusi della terra «agli uomini di Grignano» da parte dei frati benedettini dell’Abbazia di Santa Maria dell’isola di Pomposa.
L’ENFITEUSI, NEL MEDIOEVO, era una concessione molto diffusa: il proprietario permette di godere dei frutti di un certo bene, spesso un terreno, in cambio di un canone d’affitto e della promessa di migliorarlo. Per la Comuna l’obiettivo era duplice: non lasciare i terreni inattivi e aiutare gli abitanti di Grignano a sostentarsi.
IL PRIMO DOCUMENTO DOVE SI PARLA della Comuna risale al 1426, ma c’erano state concessioni anche negli anni precedenti. «Nel 1494 gli uomini di Grignano a cui vengono concessi i terreni sono elencati per cognome. Questo ha dato origine a una specie di comproprietà», racconta Luigi Costato, professore di diritto agrario all’università di Ferrara, tra i primi a occuparsi del tema. Nel suo studio racconta che nel contratto livellario, il documento con cui il terreno viene affidato, viene specificato che si tratta di un terreno con dei salici, in parte a prato e in parte a palude. Una peculiarità che ha plasmato la storia della Comuna.
PER EVITARE LITIGI SULL’ASSEGNAZIONE dei terreni paludosi, i gregnati trovarono una soluzione ingegnosa: scavarono un grande fossato dove far confluire l’acqua della parte paludosa. «Questa operazione richiese la collaborazione di tutti: se uno solo non scavava, i terreni sopra avevano troppa acqua, quelli sotto erano a secco» continua Costato. I terreni della Comuna, infatti, sono leggermente inclinati: l’unico modo per gestirli è collaborare. L’unico per evitare malintesi o recriminazioni, assegnarli per sorteggio. Appartenenza, tradizione, comunità, terra, orgoglio: le parole più usate per descrivere la Comuna. Appoggiandosi al trattore Mattia Previato, soprannominato Biàsio, racconta che «è un onore prendere la Comuna. Uno dei momenti più belli è l’estrazione, il paese si riunisce ed è un’occasione per vivere questa tradizione».
IL PADRE, ANGELO, IN TUTA DA LAVORO annuisce. «È bello sapere che tra i miei avi c’è stato qualcuno che ha contribuito a fare questa cosa per risollevare la comunità» racconta Francesco Rossi, soprannominato Pavanèo. Si stringe nella giacca per l’aria ancora fredda e cammina nella carreggiata tra due campi.
LA «COMUNA», DALL’ALTO, ASSOMIGLIA a una goccia d’acqua capovolta e leggermente schiacciata verso la punta. È divisa in otto zone: Braja dell’arzare, Braja bassa, Braja alta, Dossello, Val Martina, Val del Prà, Moraro, Comunette. Qual è la zona migliore?
ANGELO SORRIDE: «Da sportivo oltre che da agricoltore direi che ogni appezzamento può rendere bene a patto che ci sia acqua». «A prescindere dalla posizione, credo sia giusto essere grati del terreno che viene assegnato – aggiunge Mattia – è un terreno che si ha in prestito. Ma anche la resa è importante ed è doveroso intervenire perché tutti i terreni abbiano accesso all’acqua».
NEGLI ULTIMI ANNI I COMPARTECIPI hanno realizzato interventi per contrastare la siccità e allontanare le nutrie che erodono gli argini dei canali di scolo. Opere che riprendono una frase del contratto del 1578: «Migliorare e non deteriorare detti beni».
CON QUESTOSPIRITO LA «COMUNA» viene estratta ogni cinque anni, il 21 marzo, sotto il Pavajòn, un monumento coperto a base quadrata, dipinto di giallo che si staglia nella piazza principale di Grignano. Il giorno dell’estrazione è preceduto da un grande fermento di preparativi. Nel mese di febbraio il Massaro, segretario dell’amministrazione degli Abo, si occupa di censire i compartecipi. Hanno diritto tutti i discendenti maschi delle diciannove famiglie originarie che abbiano compiuto 16 anni e che abbiano foco et loco a Grignano, ovvero che siano residenti e abbiano famiglia nel paese. Finito il censimento, con una grande cartina della Comuna alla mano, il consiglio di amministrazione degli Abo divide i terreni per tante teste quanti sono i compartecipi aventi diritto per il quinquennio che sta per iniziare.
I CAMPI VENGONO SEMPRE DIVISI in modo che ogni porzione abbia accesso all’acqua e al terreno su due lati. L’assegnazione avviene a sorte, da destra verso sinistra, secondo il susseguirsi delle diverse zone. Non tutti i terreni però vengono coltivati direttamente dai compartecipi: chi vuole può affidarsi a un capotesta, un compartecipe che si fa carico di gestire anche appezzamenti altrui fino a un massimo di dieci teste (dieci compartecipi). L’intento è evitare che un singolo possa prevalere ricevendo troppa terra rispetto agli altri. «I cognomi, con soprannome, degli aventi diritto e dei capitesta vengono scritti e inseriti all’interno dei bossoli che a loro volta vengono posti in un’urna», racconta Previatello. Il soprannome è fondamentale: serve a distinguere i diversi nuclei familiari con lo stesso cognome.
«DA PICCOLA CHIEDEVO SPESSO perché non potessi avere la Comuna, adesso comprendo il senso. Non mi sento meno parte di questa storia condivisa solo perché non prendo i terreni» racconta Chiara Rossi, soprannominata Casteàni. La discendenza maschile deriva dal fatto che la Comuna è un’istituzione nata nel Medioevo, quando l’uomo faceva da referente per la famiglia. «Non è mai arrivata una richiesta formale di una discendente di essere compartecipe, a livello informale invece è capitato – interviene Previatello – Credo che sarebbe giusto fare un ragionamento di questo tipo, per una questione etica ma anche perché meno si è, meno si conta».
NEL 1902 I COMPARTECIPI ERANO 700 e il numero si è mantenuto tra i 700 e i 500 fino al 1957, quando è iniziata l’emigrazione dal Polesine. All’ultima estrazione, nel 2022, i compartecipi censiti sono stati 267. «Servirà del tempo ma è una cosa che verrà da sé, andando per gradi e studiando bene la questione in maniera da tenere fede alla tradizione della Comuna» conclude.
A POCHI PASSI DAL PAVAJÒN si trova la sede degli Antichi beni originari (Abo). Seduti a un tavolo in legno Stefano Previatello e Alessandro Milan, presidente degli Abo, raccontano che lo spirito dell’assegnazione è ancora quod communiter possidetur communiter negligetur: «Ciò che è posseduto in comune è anche tenuto male in comune». La frase, quasi un monito dei benedettini riportato nei contratti agli originari, implica che ogni compartecipe avrebbe più interesse a migliorare solo il proprio pezzo di terra. «Dagli originari e dai loro discendenti questa frase è stata ribaltata – commenta Previatello – Abbiamo dimostrato che ciò che è posseduto in comune può anche essere tenuto bene in comune».
* Questo reportage è stato realizzato nell’ambito della Scuola di giornalismo della Fondazione Basso
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