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Le terapie intensive respirano. A scuola nelle zone ex rosse

Le terapie intensive respirano. A scuola nelle zone ex rosseBlack Friday nel centro di Roma – LaPresse

Covid in Italia Lenta e lunga discesa: il rapporto tra tamponi e nuovi casi scende all’11,6%. Ma Brusaferro avverte: «Non dobbiamo rilassarci»

Pubblicato quasi 4 anni faEdizione del 29 novembre 2020

La discesa sarà lunga, ma almeno è iniziata. Con quasi 226 mila tamponi, i casi positivi al coronavirus registrati nelle ultime 24 ore sono stati 26315. Il rapporto tra tamponi e nuovi casi scende dunque all’11,6%, e al 23,3% se si escludono i tamponi su persone già testate.

DIMINUISCONO anche i pazienti ricoverati: nelle terapie intensive ce ne sono 20 in meno, nei reparti ordinari si sono liberati 385 posti letto. Si tratta purtroppo anche di un effetto del numero tuttora elevato delle vittime, 686. La regione Lombardia registra più casi di tutte, 4615. Ma sono meno della metà del picco di diecimila casi di poche settimane fa. Il Lazio è quella in cui il rapporto tra casi positivi e test è più basso, 7,2%.

INVITA ALLA CAUTELA il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità Silvio Brusaferro, che ha presentato ai giornalisti i dati che hanno portato diverse regioni fuori dalle zone rosse e arancione. «Un Rt ancora poco sopra a 1 porta ad un aumento di casi», ha ricordato. «L’errore peggiore che possiamo fare in questa fase è quello di rilassarci, se allentiamo l’attenzione in una o due settimane la curva riparte».

Tra le regioni rimaste in zona rossa c’è la Val d’Aosta. Il presidente Erik Lavevaz lo considera un errore di calcolo, visto che l’indice Rt della regione è a 0,99. Se la protesta non verrà ascoltata, la giunta regionale «assumerà tutte le decisioni giuridiche e politiche conseguenti a difesa dell’ordinamento statutario della Valle d’Aosta».

Rimane in zona rossa anche la Campania, dove tra i medici rianimatori e il governatore De Luca è scoppiata una durissima polemica. Il governatore ha accusato alcuni di loro di non fare il loro dovere: «qualche buontempone che quando arriva la richiesta di terapia intensiva alle otto di sera, dice che non ci sono posti liberi perché magari poi deve fare la nottata». I medici hanno risposto con una lettera a De Luca in cui descrivono le condizioni in cui lavorano: «Lo sa che da circa una settimana i nostri copricalzari sono stati sostituiti da sacchetti della spazzatura?» scrivono dall’ospedale di Ponticelli.

E elencano le altre criticità: la mancanza «di sistemi di monitoraggio avanzato», «l’assenza di un radiologo di guardia nei Covid center», la difficoltà di lavorare senza creare «assembramenti nelle strutture modulari» e gli «infermieri assegnati in Terapia Intensiva senza alcuna esperienza in area critica». In altre regioni invece si torna a respirare. Secondo Tuttoscuola, dopo l’uscita dalle zone rosse di alcune regioni rimangono a distanza oltre tre milioni di alunni: sono i 500 mila alunni del primo ciclo nelle regioni ancora rosse, i 79 mila del Piemonte dove il governatore Cirio ha mantenuto la didattica a distanza per seconda e terza media, più tutti i 2 milioni e 700 mila alunni delle superiori.

PER IL LORO RIENTRO in classe non c’è ancora una data certa. Ma il governo sembra propenso a riportare gli alunni in classe solo a gennaio. La decisione avrebbe dovuto basarsi su un’analisi dettagliata da parte dell’Iss, annunciata a fine ottobre dallo stesso Brusaferro, ma di cui non si è più avuta alcuna notizia. Nemmeno il numero di focolai rilevati nelle scuole viene più pubblicato. Non è ancora chiaro, quindi, quale sia stato l’impatto dell’apertura delle scuole nella seconda ondata.

Visto che i dati dell’Iss mancano, gli epidemiologi si arrangiano. L’Aie (Associazione italiana epidemiologi) ha ottenuto i dati sull’andamento del contagio disaggregati per fascia d’età da 11 regioni, e ha pubblicato una preziosa analisi sul sito Scienzainrete.it.

E QUALCHE DATO SULLA SCUOLA emerge. «A partire da ottobre, le classi di età tra i 14 e i 24 anni, hanno contribuito maggiormente all’avvio della seconda ondata, mostrando i tassi di incidenza più elevati», scrivono gli epidemiologi. «Per contro i bambini fino ai 10 anni di età mostrano, durante tutte le settimane di osservazione, tassi di incidenza più bassi e una crescita meno veloce degli adolescenti e giovani adulti». I grafici mostrano come la fascia di età 14-18 anni sia quella che ha “trainato” il contagio a inizio ottobre, quando è iniziata la crescita esponenziale, e la prima a decrescere a inizio novembre con la chiusura delle scuole superiori.

MA IL CONTAGIO non si è arrestato nel resto della popolazione: «risultano ancora in crescita invece i valori di incidenza degli adulti tra i 45 e i 64 anni e tra persone con età oltre gli 84 anni» si legge nello studio. «Quest’ultima osservazione è predittiva dell’elevato numero di decessi registrati recentemente, destinati a mantenersi nei prossimi giorni». Il segnale è rilevato anche da Brusaferro: «L’età mediana [dei casi positivi, ndr] è in leggera crescita, questa settimana intorno ai 48 anni» spiega. «Questo segnala che persone più anziane contraggono l’infezione, ed è un fenomeno che dobbiamo contrastare il più possibile».

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