Editoriale

Le tecniche asfissianti delle forze dell’ordine

Caso Magherini Si immobilizza la persona, la si rovescia prona a terra, si portano le braccia dietro la schiena e si bloccano i polsi con manette. Quindi, un numero variabile di agenti, anche quattro, gravano sulla sua schiena per impedirne qualsiasi movimento. Si determina qualcosa che possiamo chiamare compressione toracica e che porta all’infarto o all’asfissia

Pubblicato circa 10 anni faEdizione del 13 settembre 2014

Quanto emerge dalla perizia sul corpo di Riccardo Magherini è l’ennesima conferma, e non ce n’era bisogno, che esiste un enorme problema di formazione, intesa nei suoi termini più concreti e operativi. Ovvero che esiste un modus operandi, utilizzato dagli appartenenti alle forze dell’ordine per effettuare i fermi, decisamente pericoloso per l’incolumità del fermato. Lo si è visto nelle vicende della morte del tunisino Bohli Kayes a San Remo e di Aldrovandi, Rasman e Ferrulli; e in chissà quanti altri casi che non hanno portato alla morte del fermato o che, pur causandone il decesso, non sono diventati noti.

La tecnica è la seguente: si immobilizza la persona, la si rovescia prona a terra, si portano le braccia dietro la schiena e si bloccano i polsi con manette. Quindi, un numero variabile di agenti, anche quattro, gravano sulla sua schiena per impedirne qualsiasi movimento. Si determina qualcosa che possiamo chiamare compressione toracica e che porta all’infarto o all’asfissia.

Com’è possibile che dopo una serie di decessi in simili circostante, una modalità del genere venga ancora utilizzata? Sì, è possibile, perché è quella che risulta più facile e più immediata. Ma che denuncia, appunto, un incredibile deficit di competenza. Quando ho chiesto al generale Leonardo Gallitelli, comandante dell’Arma dei Carabinieri, e al prefetto Alessandro Pansa, capo della Polizia di Stato, se esistano protocolli precisi su ciò che è possibile fare e ciò che va assolutamente evitato, al fine di bloccare un individuo che si ritiene pericoloso, mi è stato risposto che questo tipo di tecniche e di regole sono tuttora in corso di definizione.

A me sembra terribilmente tardi. O meglio, ogni giorno che passa, a seguire le cronache, è sempre più tardi. Senza affrontare il complicato capitolo della morte di Davide Bifolco a Napoli, anche da lì emerge una domanda non troppo diversa: com’è possibile che per affrontare due giovani, palesemente privi di armi da fuoco o da taglio, almeno fino a prova contraria, un carabiniere spiani una pistola con il colpo in canna e senza sicura? È pensabile che qualcuno gli abbia insegnato che quella fosse la tecnica più opportuna? O , al contrario, non dovevano spiegargli che era proprio la modalità più inutile e più pericolosa? Come si vede, il problema della formazione è enorme. E della formazione culturale (quali sono i diritti e le garanzie dei cittadini) e della preparazione tecnica: come si affronta una manifestazione, come si ferma un individuo armato e come uno disarmato, come si opera un inseguimento. Mi sembra che, su tutto ciò, il ritardo sia addirittura di molti decenni. Ed è un’autentica tragedia.

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