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Le tante guerre e la fine dell’Impero

Le tante guerre e la fine dell’ImperoIl ritiro delle truppe Usa – Ap

Stati Uniti Kabul è l’ultimo atto: colpisce, rivela e disvela, rappresenta e manifesta, qualcosa di molto più lungo e complesso

Pubblicato circa 3 anni faEdizione del 7 settembre 2021

Kabul, fine dell’Impero? Henry Kissinger e Sergio Romano dicono di sì, pur con diverse motivazioni. Due monumenti della realpolitik giungono a una conclusione simile e radicale.
Ora come è possibile trarre una conclusione del genere quando l’Impero a cui ci si riferisce è il più potente che la storia abbia visto sulla terra? Con una potenza militare sparsa sul globo attraverso più di 780 basi militari, 13 flotte che dominano tutti i mari del mondo, una forza aereo spaziale, una tecnologia militare formidabile? Kabul è l’ultimo atto: colpisce, rivela e disvela, rappresenta e manifesta, qualcosa di molto più lungo e complesso.

Dopo il crollo dell’Urss l’impero ha cercato di passare all’incasso. La grande rivale andava portata alla disintegrazione. La Jugoslavia, non allineata, sapientemente spinta attraverso le manovre sul debito, alla guerra interetnica. I Balcani militarmente occupati. L’Iraq invaso e Saddam spodestato. La Siria portata alla esplosione. L’Iran messo alle strette. Il Caucaso spinto alla ribellione anti Russa. La Libia invasa. Annesso il centro Europa con la Nato, si passa al cuore dell’Asia lambendo il confine cinese. Questo disegno quarantennale possiamo dividerlo in due fasi. Nella prima fase gli Usa affrontano guerre contro rivali classici. Eserciti organizzati contro eserciti organizzati. La guerra simbolo è l’Iraq di Saddam.

La geometrica potenza delle nuove fantascientifiche tecnologie militari, frantuma l’esercito iracheno. Tutte le guerre americane di questa prima fase hanno lo stesso schema: conquistato il dominio dei cieli, si procede a ripulire il terreno soprattutto con forze ausiliarie. La tecnologia come la leva archimedica. Si dichiara la vittoria dai ponti delle portaerei, (Bush) mentre si inizia però la seconda guerra, quella al terrorismo. Cosa vuol dire terrorismo? La definizione di guerra terroristica andrebbe limitata al suo punto centrale distintivo: una estrema minoranza, che usa la violenza per condurre e perseguire obbiettivi politici. La storia è piena di lotte violente definite come terroristiche. A partire dall’America.

La seconda fase si chiama guerra asimmetrica. Anche questa forma di guerra è per certi versi sempre esistita. Ma la sua teorizzazione raffinata e i suoi concetti moderni vengono fissati da due colonnelli Cinesi, Liang Quiao e Xiangsui Wang in un libro dal titolo «Guerra senza limiti». Nasce il problema di cosa si poteva fare da parte di chi non intendeva sottostare al dominio dell’impero.
La guerra è un fatto umano, che si svolge su un territorio e in un assetto sociale. Ma, in ogni contesto, tutto, può diventare un’arma, sostengono gli autori.

La condizione prima , quella da cui tutto dipende è rappresentata dalla volontà umana del guerriero combattente.
La guerra asimmetrica riporta protagonista il Partigiano, combattente tellurico, nella versione Schmittianmaoista e lo colloca al centro della guerra senza limiti moderna. La guerra è un atto più filosofico di quanto siamo disposti ad ammettere. Non a caso Sun Tsu diceva che il generale magnifico vince senza combattere. Così si realizza la sconfitta militare perfetta.

In Afganistan un esercito dotato di 83 miliardi di dollari di armamenti, di cinque volte il numero di effettivi del suo avversario, lungamente addestrato, si è arreso senza combattere: memesi della Storia.
L’Impero aveva infatti soffiato sul fondamentalismo religioso in funzione di contenimento dei tentativi di modernizzazione più o meno socialisteggianti che si sono tentati nel modo islamico. Quella arretratezza – come confessò Edward Luttwak – era meglio del comunismo.

La seconda fase delle guerre dell’impero finisce nella sconfitta campale: l’aeroporto di Kabul, riverbera la sua luce sulla illusione della Sinistra Atlantica e sul tramonto dell’Impero americano. Dopo Kabul, l’impero si trova con una enorme forza militare, ma senza una strategia praticabile proprio sul terreno della sua efficacia.
Pensare che la formula delle democrazie da scagliare contro le autocrazie russo-cinesi diventi «strategia» è un gioco di propaganda che può trovare adepti solo in qualche sopravvissuto atlantico che guarda il mondo dal salotto di casa. Tempi interessanti.

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