Il coprifuoco non svuota le Tahrir dell’Iraq
Almeno 44 i morti Nella capitale Baghdad e nelle città del sud a migliaia nelle strade. Repressione, accuse al governo di Abdul Mahdi e all’Iran
Almeno 44 i morti Nella capitale Baghdad e nelle città del sud a migliaia nelle strade. Repressione, accuse al governo di Abdul Mahdi e all’Iran
Cecchini sui tetti intorno a piazza Tahrir e candelotti lacrimogeni made in Iran, questo dicono di vedere i manifestanti che da quattro giorni riempiono le strade irachene, dalla capitale alle città meridionali sciite. Il numero dei morti sale, 44 secondo il governo, molti di più secondo i manifestanti.
SONO MIGLIAIA nonostante la violenta repressione fin qui messa in campo dalle autorità accerchiate. Giovedì notte in un messaggio tv il primo ministro Adel Abdul Mahdi ha provato a calmare gli animi, ma lo ha fatto in modo troppo vago e impacciato per convincere qualcuno: «Non viviamo in torri d’avorio, camminiamo in mezzo a voi per le strade di Baghdad», si è difeso aggiungendo di non avere «soluzioni magiche» per soddisfare le richieste dei cittadini. Che sono inequivocabili: cambio di governo, più occupazione, redistribuzione della ricchezza sotto forma di infrastrutture, ricostruzione, servizi idrici ed elettrici.
Lo hanno chiesto di nuovo ieri nonostante il coprifuoco indetto due giorni fa, «venerdì della rabbia» a Baghdad, Nassiriya, Bassora, Amara, sfidando la polizia armata di cannoni ad acqua, lacrimogeni e proiettili veri sparati dai tetti.
Alle agenzie stampa dicono di non credere a una parola delle promesse del primo ministro e in tanti puntano il dito contro l’Iran, considerato il vero repressore delle proteste di questi giorni e la guardia del corpo di Abdul Mahdi.
SOTTO COPRIFUOCO la situazione non fa che peggiorare. Se i giovani scendono in piazza comunque, donne e uomini che tentano la via verso il centro della capitale, è nei quartieri periferici che si soffre di più: i prezzi dei beni di prima necessità sono saliti subito e le difficoltà di movimento (di fatto vietato) rendono quasi impossibile procurarsi cibo. L’Iraqi Human Rights Commission fa appello al governo perché sospenda il coprifuoco o invii alimenti nelle zone più isolate.
OGNI PARTE POLITICA tira acqua al suo mulino: il parlamento annuncia per oggi l’esame delle richieste dei manifestanti e promette di devolvere il 5% dei salari dei dipendenti pubblici ai poveri (il 60% della popolazione vive con meno di sei dollari al giorno) e di creare 25mila posti di lavoro; il religioso sciita Moqtada al-Sadr invita i parlamentari all’autosospensione finché il governo non prenderà provvedimenti (dimenticando che pure lui è nell’esecutivo, primo partito alle elezioni di maggio 2018); l’Ayatollah al-Sistani, nel consueto sermone del venerdì da Karbala, si schiera con la piazza e accusa «i parlamentari di non avere le risposte alla domanda di lotta alla corruzione».
Da parte sua Abdul Mahdi prova a metterci una pezza chiedendo al parlamento aiuto per un rimpasto governativo e licenziando mille dipendenti pubblici accusati di sperpero di denaro pubblico e appropriazione indebita. Poi invia alla stampa irachena una lista di misure da attuare: rilascio dei manifestanti arrestati, reddito minimo per ogni famiglia, terre agricole gratis per i più poveri e non meglio identificate riforme economiche e sociali.
TAHRIR PERÒ NON SI SVUOTA, simbolo della frustrazione di un popolo mai uscito da quattro decenni di guerra e che oggi fa sue le aspirazioni di altre rivolte. Promemoria per i governi che da Khartoum ad Algeri dimenticano un fattore, i popoli.
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