Le strategie della lobby del cibo artificiale
Da anni «noi non fabbrichiamo cibo noi lo produciamo», solo per chiarire quale sia la differenza tra l’agricoltura industriale, l’industria del cibo e l’agricoltura contadina, quella che approvvigiona il mercato […]
Da anni «noi non fabbrichiamo cibo noi lo produciamo», solo per chiarire quale sia la differenza tra l’agricoltura industriale, l’industria del cibo e l’agricoltura contadina, quella che approvvigiona il mercato […]
Da anni «noi non fabbrichiamo cibo noi lo produciamo», solo per chiarire quale sia la differenza tra l’agricoltura industriale, l’industria del cibo e l’agricoltura contadina, quella che approvvigiona il mercato interno e realizza un terzo circa del valore totale dell’agricoltura italiana, mentre le grandi aziende, quelle con più di 10 ULA non arrivano al 5%.
Il cibo artificializzato è una costante dell’industria agroalimentare già da molto tempo. Intanto non si tratta di «carne sintetica» ma di «carne cellulare» cioè di un composto ottenuto per clonazione di cellule in vitro. Ciò avviene prelevando una cellula (un piccolo pezzo di carne) e coltivandola in un liquido biologico o sintetico. Questo metodo è noto perché da tempo viene utilizzato per trattare le vittime di ustioni.
L’alimentazione di queste cellule è difficile da conoscere. Questo è uno dei segreti di questo settore. All’inizio sono state nutrite con siero di feto di vitello. Era costoso e imbarazzante, soprattutto per i vegetariani. Ora sembra essere un siero sintetico. Potrebbe trattarsi di ormoni sintetici. La carne cellulare è una sorta di carne macinata. Questo ammasso di cellule è solitamente strutturato da farina di piselli o fibre vegetali che si evolvono anch’esse per sintesi.
La strategia adottata da aziende in questo comparto è quella di rivolgersi ai mercati di fascia alta per garantirsi un profitto elevato. L’istituto del buon cibo (The Good Food Institute – Washington, Distretto di Columbia, Stati Uniti d’America) è lo strumento di lobbying che lavora su lab food con i governi per modificare le normative europee, con le stesse tattiche delle lobby europee che vogliono modificare le normative sugli Ogm. Ha una posizione di dominio nello spazio europeo attraverso l’Università di Cork in Irlanda. Si tratta di una istituzione finanziaria, Bruce Friedrich è presidente del GFI, ma è anche il capo di un’azienda con un background borsistico. È il leader di una delle più grandi associazioni americane di produzione animale, un religioso fondamentalista. Niente è gratuito. Ci sono i brevetti. «C12N5/0062 General methods for three-dimensional culture – Il prodotto a base di carne … che vengono coltivate ex vivo insieme alle cellule muscolari». E ancora «C12N5/0658 Skeletal muscle cells, e.g. myocytes, myotubes, myoblasts – Current Assignee Good Meat Inc, 2005»). Molti altri in attesa. Memphis Meats ha due domande di brevetto in corso, entrambe riguardanti l’ingegneria genetica. …, le domande della Memphis Meats si concentrano sulla biologia molecolare. È interessante notare che entrambe le domande di brevetto descrivono una tecnologia che produce carne Ogm.
Ma la vera questione resta quella degli allevamenti industriali. In Europa, il numero totale delle aziende zootecniche con oltre 500.000 € di valore della produzione, per le singole specie allevate, è estremamente ridotto. Ci sono solo 19.200 stalle da latte che hanno un ricavo superiore ai 500.000€, in aziende con una superficie superiore ai 100 ettari e con oltre 100 vacche in lattazione. Sul totale delle stalle da latte rappresentano un modestissimo 1,3%. Questa tipologia aziendale è concentrata per il 30% in Germania, per il 18% in Francia ed il 7% in Italia e 6% nei Paesi Bassi. Questi 4 paesi raggruppano il circa il 61% di questa tipologia di grandi stalle. Anche se queste aziende ricevono il numero più alto di risorse della PacA, è evidente il loro carattere assolutamente minoritario nel panorama degli allevamenti europei. Sono queste le aziende di cui ci dobbiamo occupare prioritariamente per porre un limite al loro sviluppo, ai danni che producono all’ambiente, per contrastare le politiche che le supportano nella loro insostenibilità economica e ambientale.
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