Le stelle elettriche di David Bailey
Eventi Fino al 2 giugno è aperta al Padiglione d'arte Contemporanea di Milano una mostra dedicata al geniale artista inglese con 300 fra gli scatti più innovativi. Dalla moda alla musica passando per il cinema
Eventi Fino al 2 giugno è aperta al Padiglione d'arte Contemporanea di Milano una mostra dedicata al geniale artista inglese con 300 fra gli scatti più innovativi. Dalla moda alla musica passando per il cinema
Le pareti bianche di cielo del Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano sono punteggiate, come una galassia lontana, da oltre 300 fotografie ammantate di polvere di stelle. Stardust è infatti il nome della mostra, in tenitura fino al 2 giugno, dedicata a uno dei padri fondatori della fotografia contemporanea: David Bailey. Curata dallo stesso artista e realizzata in collaborazione con la National Portrait Gallery di Londra e con il magazine ICON, Stardust contiene gli scatti più significativi di un’intera carriera, impreziosita da nuove stampe in gelatina d’argento che hanno permesso al fotografo, e a noi visitatori, di rivedere ogni singola immagine con chiarezza inedita. Giovanissimo garzone, alla fine degli anni ’50, in uno studio di fotografi londinese, Bailey in pochissimo tempo è già a servizio di Vogue: i primi rigurgiti di contestazione sono elettrici nell’aria e l’atmosfera rivoluzionaria viene assorbita dal suo obiettivo, in una nazione oramai consunta per rigidità ed eccesso di conservazione. Bailey rompe tutte le regole, come una decina d’anni prima a Hollywood dove gli studi ingessati di finte e colorate città vennero abbattuti dal realismo delle strade, e porta il glamour e i tagli sartoriali nelle bettole dell’East End o nelle luci di Carnaby Street.
La moda ha bisogno del suo furore iconoclasta e rivoluzione sia: al bando il freddo rispetto accademico, le donne di David Bailey flirtano sensualmente con il suo obiettivo, un rapporto quasi carnale perfettamente riassunto nei primi minuti di Blow Up di Michelangelo Antonioni che scelse Bailey come modello di riferimento del film. Bailey non si è mai considerato un vero fotografo di moda ma il suo portfolio sembra smentirlo fin dai primi bagliori di mostra: sono i volti-sfinge di Anna Piaggi, Diane Vreeland, Karl Lagerfeld, Kate Moss ad aprire questa parata di stelle, corpi scelti dal fotografo perché «sono il massimo, non c’è nessuno come loro», stampe gigantesche posizionate nel più alto dei cieli e noi mortali a testa in su. Alle loro spalle gli amici artisti Man Ray, Damien Hirst e Francis Bacon mentre i tantissimi ritratti dedicati a Dalì sorvegliano la grande stanza.
Il volto surreale del pittore è anche assoluto protagonista di una serie di fotografie realizzate durante un week-end a Parigi nel 1972 dove Dalì invitò Bailey e casualmente incontrarono anche Andy Warhol.
Poco prima di questo inaspettato incontro parigino, il fotografo britannico aveva realizzato un piccolo documentario Warhol by Bailey per la BBC: regista e artista a letto insieme, corpi nudi di modelle, troppo per la televisione nazionale. Altro materiale che scotta, il sodalizio con i Rolling Stones, dal 1964 a oggi, e le provocanti fattezze di Mick Jagger: la quasi scandalosa copertina di Goats Head Soup troneggia nel corridoio e ritrae un sensuale Mick intrappolato in un velo, metaforico e non, di ambiguità sessuale. Il percorso della mostra comincia così a scardinare l’ordine cronologico per abbandonarsi a veri e propri temi, mettendo a confronto generi agli antipodi: dalla «fashion photography» alle nature morte, dal nudo frontale della serie Democracy, realizzata nel 2001 con sconosciuti, al reportage di viaggio e alle sperimentazione con fotocamere per cellulari a East London e Harlem.
Bailey ha sempre adorato sperimentare le possibilità delle nuove tecnologie fotografiche: dalla vecchia «Bow Brownie» rubata da ragazzino ai genitori, alle simil macchine fotografiche comprate a Singapore fino alle digitali più evolute. Dal caleidoscopico baccanale di colori del piano terra, una scala al paradiso del bianco e nero: i leggendari ritratti, realizzati in tutto l’arco della sua carriera, con il semplicissimo sfondo bianco. Attori, musicisti, registi, gli adorati Jack Nicholson e Johnny Depp vivono tutti nel ritratto spartano, quasi glaciale che contemporaneamente trasuda complicità, amicizia, abbandono.
Nulla sfugge al primo piano, alla sua capacità di impadronirsi dell’anima, allo spietato monocromo che si erge a tavolozza. A fianco di questo insuperabile catalogo, i primi esperimenti nella ritrattistica come Box of Pin-up del 1965, un portfolio di 36 ritratti di uomini e donne della cultura contemporanea: tra questi (ancora per poco) sconosciuti, incrociamo John Lennon, David Hockney e Terence Stamp catturati nell’era di Mick Jagger, dove i veri pin-up sono i teddy boys e i giovani arrabbiati. L’occhio di Bailey però non desidera soltanto il glam della società dello spettacolo: i suoi reportage africani cominciano negli anni ’70 per poi culminare nella serie Sudan, documento violento e straziante sugli uomini dei campi profughi che nel 1984 fuggirono da un’Etiopia devastata dalla carestia. Finisce così, con i volti speranza e le foto di scena del film di Hugh Hudson Revolution, non a caso posizionati a fianco, questo viaggio senza confini, dall’esotismo al fumo di Londra, un sistema solare di immagini uniche al mondo mentre le stelle lassù stanno ancora a guardare.
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