Le stanze verdi, intimismo eclettico nel Beauvaisis
Henri Le Sidaner, "Finestra con garofani, Gerberoy", 1908, Museum Barberini Potsdam
Alias Domenica

Le stanze verdi, intimismo eclettico nel Beauvaisis

Artisti giardinieri: Henri Le Sidaner Ricavato dai terrazzamenti fortificati del villaggio di Gerberoy, il giardino del pittore simbolista, che vi si dedicò dal 1901 al 1939, è un innesto incantato di tradizioni, tra forma e natura
Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 17 aprile 2022
Andrea Di SalvoGERBEROY (ALTA FRANCIA)
Henri Le Sidaner, “Autoportrait”, 1892

Acchiocciolato com’è su quel che resta dei terrazzamenti fortificati, al di sopra della cittadina antica di Gerberoy, al confine tra Normandia e Piccardia, il giardino di Henri Le Sidaner, pittore giardiniere, ricondotto perlopiù alla corrente degli intimisti, si libra da quegli spalti, tra spazi segreti e aperture sul paesaggio.

Realizzato a partire dal 1901, questo universo conchiuso vive e respira in una fitta trama di relazioni. Da un lato, con la casa di cui è trampolino disteso sui panorami distanti. Dall’altro, per il suo partecipare ed essere innesco di quel complessivo «giardino diffuso» in cui l’intera cittadina si è andata, con lui, costituendo in una coevolutiva vicenda di invenzione e cura. Quella Gerberoy dove ad ogni angolo di strada, come per la regia di un accorto giardiniere condiviso, si avvicendano lungo i viali fioriture di ortensie, rose rampicanti, clematidi e gelsomini, a ricoprire le facciate tradizionali delle case, quelle in mattoni normanni e quelle a graticcio tipiche della Piccardia.
È una vicenda, quella del giardino e della sua città, che procede in parallelo proprio a partire da quando, alla ricerca di una casa in campagna dove creare un giardino per potervi dipingere, Le Sidaner scopre la regione del Beauvaisis su indicazione di Auguste Rodin, per scegliere poi la piccola città di Gerberoy.

Qui, nella parte alta, decide di affittare e rimettere in uso un’antica abitazione con un frutteto abbandonato. Per quasi quarant’anni, fino alla morte nel 1939, Le Sidaner risiederà a Gerberoy a dipingere nei mesi estivi, dividendosi tra diversi viaggi di studio e, a partire dal 1912, Versailles, altro suo luogo di elezione.

E in tutto questo tempo, oltreché all’invenzione del suo giardino, si interesserà all’abbellimento dell’aspetto della cittadina, adoperandosi per la valorizzazione del suo impianto tradizionale. Incoraggiando i residenti a piantare fiori davanti alle proprie case, contribuirà alla costituzione, nel 1909, di una delle prime associazioni di Francia intese alla salvaguardia del patrimonio, finché negli anni venti la cittadina fiorita e il suo giardino diverranno meta frequente di gite e visite e, dal giugno 1928, oggetto dell’istituzione di un’annuale, tuttora attiva, importante Festa delle rose.

I primi interventi sul giardino interesseranno il ridisegno dell’ex frutteto. Per procedere poi recuperando i terrazzamenti. Con l’acquisto di altre parcelle, il giardino si amplia di nuovi episodi, strutturati in base alla morfologia del terreno, fino a comprendere un’area tra i 3 e i 4.000 metri quadri (tuttora della famiglia, il giardino, restaurato, è accessibile al pubblico). Una sequenza di stanze verdi all’aperto, separate da muretti o siepi, dove ogni porzione – dal giardino delle rose alle terrazze all’italiana, dal padiglione destinato a ospitare il suo studio all’aperto al tempietto dell’Amore – ha una funzione e un carattere particolare. Secondo un modello che, se da un lato, in questo primo quarto di secolo recupera al giardino una dimensione formale, con elementi architettonici, dall’altro, per addolcirne il rigore, integra l’uso di piante vivaci e annuali: in un’intervista del 1913, Le Sidaner confessa di voler dar voce «al giardino classico» introducendo in quello «alla francese, cosa adorabile, un po’ di più di natura».

Estesa è in questa fase l’influenza del giardino inglese (Le Sidaner visita Kensington, Kew Garden e i giardini di Hampton Court, che ritrae), in particolare nella lezione «naturale» di quel William Robinson, ispiratore dell’uso della flora spontanea – ma anche tramite con la cultura orticola francese che supporta la riforma haussmanniana – nonché della diffusione del giardino Arts and Crafts, magari nella declinazione operata di recente in terra di Francia dalla coppia, sempre inglese, dell’architetto Edwin Lutyens e della pittrice e poi paesaggista Gertrude Jekyll, a Varengeville-sur-Mer in Normandia, nella seminale casa giardino di Le Bois des Moutiers.

Più ancora, però, risulta diffusa, e si riflette nelle articolazioni del giardino di Gerberoy, una complessiva tendenza a un eclettismo di derivazione storicistica. Nel senso di un composito recupero di stili diversi – anche sull’onda di una rinnovata attenzione che si traduce di volta in volta in riscoperte, restauri e rifacimenti. Una tendenza che incrocia moduli e stilemi con suggestioni e linguaggi delle arti figurative ispirati dalle più recenti tendenze.

Così, nel suo primo intervento, Le Sidaner riserva alla parte del giardino direttamente affacciata sul soggiorno un’atmosfera formale, ritagliando un grande prato di cui enfatizza la pur ridotta prospettiva assiale, inquadrandolo in un gioco di scalini e vasi, balaustre e statue sullo sfondo. Tutto, delimitato da un’aiuola di piante a fiore bianco: garofanini piumosi e rose piangenti, scompigliate, sempre sui toni del chiaro, da campanule, phlox, masse di achillea e fasci di astri. Un monocromo chiamato a modulare sulla stessa nota, come spesso nei suoi quadri, minime variazioni ed effetti di luce.

Non manca poi il classico tema della terrazza delle rose, che s’incontra sullo spalto dove nel 1906 Le Sidaner aveva fatto costruire un padiglione d’ispirazione Arts and Crafts con funzione di atelier d’estate. Qui, sdrammatizzato nella mescolanza di colori vivaci di erbacee perenni come physostegie, malve e phlox o di annuali come clarchie e papaveri, trionfa tutt’intorno il protagonismo delle rose in varietà: incorniciate da un accenno di parterre di siepi di bosso, o arrampicate su archi e sostegni, anch’essi fatti realizzare secondo disegni del pittore. E, ancora, sempre a proposito di debiti, mentre dal suo soggiorno alle Isole Borromee, sul Lago Maggiore, trarrà ispirazione per sistemare con balaustre in pietra, vasi e statue, rose e ortensie i dislivelli che risalgono le rovine, trasfigurandole in un giardino di terrazze all’italiana, è sui resti di una torre appartenuta al castello che Le Sidaner fa realizzare, a belvedere, un Tempio dell’Amore ispirato a quello di gusto neoclassico del Petit Trianon a Versailles, con una replica della statuetta del Putto con delfino di Andrea del Verrocchio: ancora un giardino a tema, anche cromatico, dove gialle rose rampicanti e clematidi viola proiettano sulle mura la serie dei gialli e blu delle piante a terra, calendule, rudbeckie, coreopsis e, a contrasto, pervinche, speronelle, gerani blu, campanule e nigelle.

Come risulta dai suoi diari e da articoli di inizio secolo che descrivono il suo giardino, oltre la dominanza delle rose, in fiore da marzo a novembre in questo clima temperato, le varietà di piante prescelte risultano quelle diffuse nei cataloghi dell’epoca. Abbonato alla «Gazette des Jardins» e membro della Société des Amateurs de Jardins, Le Sidaner presiede agli interventi in giardino e ne progetta gli elementi, rifacendosi, come si è visto a diversi modelli.

Più in generale, prima di fissarli sulle sue tele, il pittore giardiniere cura e ricompone giardino e paesaggio.

A questo multiforme soggetto pittorico d’insieme – fatto sia di ritagli del suo giardino che di vedute della città vecchia – Henri le Sidaner dedicherà negli anni oltre trecento tra studi e dipinti (un centinaio di tele), un quarto della sua opera. Raffigurato in diverse ore del giorno, ma preferibilmente alla luce sommessa di fine giornata.

Ma, nel ritrarre il suo giardino, proprio come quando dipinge i bacini dei giardini di Hampton Court, o le serie delle fontane di Versailles, o il pergolato che inquadra le terrazze dell’isola sul Lago Maggiore, Le Sidaner non cerca le grandi prospettive. Del suo giardino ritaglia visuali ristrette, incorniciandolo spesso dall’interno delle stanze che su di esso si affacciano, o nel gioco di scambi tra punti di vista dei diversi ambienti che lo articolano, nell’andirivieni tra esteriorità e interiorità cui continuamente l’esperienza del giardino rinvia.

Con l’inizio del secolo, al momento dell’avvio dei lavori in giardino, Le Sidaner pittore aveva ormai maturato un suo stile, per quanto nella varietà delle proposte e delle influenze attraversate. Abbandonato il realismo sentimentale degli esordi, era passato oltre la tentazione simbolista. Essenziali erano stati i soggiorni a Brues, nonché le frequentazioni parigine degli artisti della cerchia simbolista, frequentata per il tramite del compositore Gabriel Fabre, con i successi delle mostre presso Georges Petit, suo mercante dal 1895.

Ma nel complesso, il suo lavoro si era andato sviluppando lontano dalle etichette dei movimenti artistici cui attinge senza granché innovare. Motivi essenzialmente intimisti, spesso innescati da una finestra o una panchina, i suoi dipinti e pastelli incontreranno un successo anche di vendite, con personali a Parigi, Londra, Bruxelles e negli Stati Uniti.

Degli impressionisti aveva abbandonato l’en plein air, per tornare alla pittura di studio. Dove però il lavoro di memoria traspone l’impressione oltre la vista, in un’esperienza interiore, immaginativa. I luoghi della vita quotidiana , con il loro fascino semplice e la poesia latente, vengono trasfigurati in paesaggi dell’intimità. Così, vedute ordinarie, colte in momenti di passaggio per trasmettere il senso transitorio della bellezza, vengono catturate in una luce rarefatta, concentrata in cromatismi trattenuti. Instancabilmente, nelle atmosfere morbide, nelle sfumature calde di una tavolozza che in Le Sidaner sfoca contorni e colori, ricorrono i suoi soggetti preferiti.

In particolare, il mondo del suo giardino, deserto pressoché d’ogni figura umana. E poi le vedute del villaggio, le facciate incorniciate di persiane fiorite, la campagna solitaria. La serie, all’aperto, delle tavole imbandite o appena sparecchiate, a evocare un’aura di convivialità. Vuota però di presenze che non siano le tracce, accuratamente disposte in composizioni sospese di nature disabitate, che suggeriscono presenze invisibili, passaggi recenti: bottiglie e bicchieri mezzi pieni, cesti di frutta, vasi allestiti con fiori da taglio del giardino, oggetti abbandonati.

Esemplare di questo dialogo silente di trame ed echi che si rimpallano tra arredi, piante, fiori, interno ed esterno, casa e giardino, il dipinto del 1908 Finestra con garofani, dove, a distanza ravvicinata, vediamo quasi in soggettiva, impliciti commensali, una tavola apparecchiata nella sala da pranzo, e, oltre la cornice della finestra aperta, la diagonale del giardino. In un’inclinata accelerata dallo stacco di fioriture bianche e intervallata però dalla panchina che appare di traverso, presto conclusa poi, in fondo, dalla balaustra. In una progressione ferma, dove ordinando e intrecciando, si impigliano nel vibrato perdurare di un istante i bicchieri e le brocche sul tavolo, i fiori sul davanzale e quelli fuori – della bordura a terra e del risucchio dell’onda delle rose a mezz’aria sulla destra –, i dischi di luce sul prato, il riverbero in infilata del giardino che slitta sui vetri della finestra, spartito ancora e raddoppiato dalle lame delle due ante aperte di taglio.

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