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Le sorprendenti variazioni sul mito di una grecista musicologa

Le sorprendenti variazioni sul mito di una grecista musicologaHypnos e Thanatos trasportano il cadavere di Sarpedone in Licia, disegno di John Flaxman per l’Iliade,1793

Tradizione classica Dagli esercizi su John Flaxman di Le Corbusier all’Ulisse dodecafonico di Dallapiccola, a Jodice fotografo d’Apollo... Sette saggi, come «quadri» di Musorgskij, sul Classico nell’arte: Il canto delle muse di Maria Grazia Ciani, da Marsilio

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 31 luglio 2022

Musei Vaticani, Sala delle Muse: sulla parete rosso pompeiano si stagliano le bianche statue in marmo delle Muse rinvenute nella campagna di Tivoli tra i resti della cosiddetta villa di Cassio. Nella Sala, le figlie di Zeus e Mnemosyne sono disposte vicino ad Apollo e a volti di poeti, fra i quali spicca quello cieco di Omero.

Sempre nei Musei Vaticani, nella Stanza della Segnatura, si incontra l’immagine di Omero creata da Raffaello per il suo Parnaso, una ‘variazione’ rispetto alle iconografie antiche: l’Urbinate dipinge il poetarum princeps che campeggia ispirato accanto ad Apollo e alle Muse.

Queste immagini sono fra quante hanno raccontato nel tempo il legame poeta-Musa, un legame ancestrale di cui il primo verso dell’Iliade è la pietra d’angolo: è pertanto fatale che Il canto delle muse Variazioni sull’arte contemporanea di Maria Grazia Ciani (Marsilio «Biblioteca», pp. 157, euro 16,00) inizi con un saggio ispirato al poema omerico.

Il diploma in pianoforte

Come altri temi e protagonisti dell’antichità, il canto delle Muse è stato motore di ‘variazioni’, parola che è cara all’autrice e indica qualcosa di più vivo e metamorfico rispetto ai concetti di ‘ricezione’ o ‘tradizione’ dell’antico, e che richiede allo studioso cultura multiforme e vasta, come in effetti è quella della Ciani: la quale ha raccolto qui i suoi saggi su poesia, arte, musica, letteratura, teatro, cinema e fotografia pubblicati in varie sedi tra il 1999 e il 2019 (tutti tranne Una statua di bronzo sull’Ulisse di Ugo Attardi), dopo averli rivisti, approfonditi, ampliati. Il solo testo non modificato rispetto alla versione originaria è l’ultimo, La parola che manca, un viaggio trascinante e vertiginoso in compagnia dell’Ulisse dodecafonico di Luigi Dallapiccola, «l’opera della vita» afferma, il consapevole approdo della multiforme creatività del musicista istriano; un saggio in cui la grecista dimostra una conoscenza profonda, coinvolta, raffinata della musica contemporanea, dovuta anche ai suoi studi giovanili – diploma in pianoforte e composizione presso il Conservatorio di Venezia. Maria Grazia Ciani, che ha insegnato a Padova Lingua e civiltà greca e Storia della tradizione classica, è nota al grande pubblico come traduttrice di Omero, Sofocle, Euripide, come curatrice della collana di Marsilio «Variazioni sul mito», e più di recente per un raffinato romanzo breve che rovescia drammaticamente il finale dell’Odissea (La morte di Penelope, sempre Marsilio, 2021).

La lettura di questi saggi è a tal punto avvincente da non risparmiare la stessa bibliografia che, a sua volta, apre al lettore molteplici percorsi di approfondimento e conoscenza: cito, tra i riferimenti bibliografici del citato La parola che manca, la raccolta degli scritti di Dallapiccola Parole e musica (il Saggiatore, 1980), accompagnata da una appassionata introduzione di Gianandrea Gavazzeni, il quale ricorda il concerto pianistico di un giovane Dallapiccola «nella sala del Conservatorio milanese, con i Quadri di un’esposizione di Musorgskij». La stessa suite per pianoforte mi è subito venuta in mente leggendo Il canto delle muse, innanzitutto per l’analoga genesi: questo libro nasce infatti «da incontri casuali con personaggi e opere» che «hanno in qualche modo colpito» l’autrice (pp. 7-8); anche i Quadri sono nati dall’incontro casuale di Musorgskij con l’architetto e artista Hartmann e dalla mostra delle sue opere che molto colpì il compositore. Ancora: Il canto delle muse è una silloge di sette ‘quadri’, più una Premessa, nei quali si incontrano e dialogano visione e ascolto, come in Musorgskij, e dove il lettore (e l’ascoltatore) prova piacere a perdersi, ricercare, scoprire, cedendo anche alla tentazione di ‘folli voli’.

Le «Pathosformeln»

La struttura del libro di Maria Grazia Ciani non impone di seguire un ordine nella lettura: si può iniziare (come per l’ascolto dei Quadri) da dove si desidera, lasciandosi magari guidare dai titoli, essenziali, cesellati. Personalmente ho cominciato dal saggio Il braccio della morte, il cui titolo allude a un lavoro di Claudio Franzoni sulle Pathosformeln del dolore («Engramma», 2013). Le Muse che hanno ispirato Ciani in questo primo studio sono più figlie di Aby Warburg che del principe della filologia storica, Ulrich von Wilamowitz-Moellendorff. Ciò vale anche per altri contributi, ma qui si evince in modo più chiaro, perché viene dimostrato a pieno il sapiente uso del concetto warburghiano di Pathosformel, questo «strumento euristico tanto raffinato quanto complesso, tante volte citato, quanto spesso frainteso» (Franzoni), aggiungendo opportunamente che non vi è una Pathosformel «ogni qual volta ci sia la resa visiva di un sentimento» e che ciò che «caratterizza tali forme “genuinamente antiche” è (…) da un lato l’elemento formulare, dunque schematico e passibile di ripetizione, dall’altro il carattere “superlativo” degli atti del corpo descritti, tesi a esprimere “valori-limite” e non uno stato d’animo qualunque».

Tra le formule di pathos il ‘braccio della morte’ è un classico (p. 26): a esso ha guardato anche il Le Corbusier delle litografie dell’Iliade. Ciani racconta in modo convincente il percorso di lavoro di quest’opera non finita compiuto dal poliedrico architetto che, non guidato da una musa, tuttavia la cercava. Le Corbusier aveva conosciuto guerre diverse da quella di Troia, aveva «“visto” la guerra» nella cupa tragedia di urla e corpi spezzati di Guernica: l’opera di Picasso diventa una delle muse da lui incontrate nella travagliata ricerca intrapresa per dare espressione ai corpi caduti nella terra di Ilio, coperti di sangue e polvere; altre muse egli le trovò nell’Iliade curata dagli illustri grecisti Paul Mazon e Pierre Chantraine per Le Club Français du Livre (Paris 1954), corredata dalle illustrazioni tardo settecentesche di John Flaxman, nei confronti delle quali, però, Le Corbusier sentì man mano inquietudine, insoddisfazione, persino disgusto (p. 20).

Sarpedone ucciso

Un’altra sua musa fu l’amatissima moglie, scomparsa nel 1957, presente in molte delle opere di Le Corbu tra cui, velatamente, nell’ultimo dei venticinque disegni iliadici (1961). Ciani si sofferma soprattutto su quello dedicato alla morte del re licio Sarpedone, ucciso da Patroclo, all’attimo in cui il corpo esanime del valoroso alleato dei Troiani viene riportato in patria da Hypnos e Thanatos (Iliade, XVI, vv. 681-683). La memoria del braccio omerico di Sarpedone abbandonato dalla vita, del braccio della ‘bella morte’ dell’eroe, attraversa il tempo e ispira variazioni: Ciani le ripercorre tutte, dall’iconografia del cratere attico del ceramografo Eufronio (515 a.C.) all’illustrazione di Flaxman, al dipinto di Johann Heinrich Füssli Der Schlaf und der Tod tragen den Körper des Sarpedon nach Lykien (1803), al bozzetto per l’Iliade di Le Corbu, e in queste variazioni rintraccia esattamente «il punto dove l’antico preme sul moderno, dove le muse sembrano cantare» (p. 8).

Tra le immagini più moderne vi sono quelle fotografiche. Il fotografo che meglio sa osservare e re-immaginare l’antico è Mimmo Jodice, pasolinianamente definito ‘una forza del passato’. Ciani ce lo fa incontrare nelle pagine del saggio Nella camera oscura e, prima, nella copertina stessa del suo libro. Qui il volto dell’Apollo da Baia potrebbe evocare l’Apollo Musagete, ma il dio passato attraverso il buio della camera fa riconoscere all’autrice i bagliori della luce spietata del dio dell’Iliade «con l’ira nel cuore» (p. 54).

Nel saggio successivo, Ascoltare Prometeo, ci si imbatte in un vorticoso, e intrigante, cambio di orizzonte. Da Napoli e da una decifrazione dell’antico «rivoluzionaria», per visione, pensiero, restituzione, si approda a Vienna, al Burgtheater del 1801, alla prima del balletto Le creature di Prometeo, con musiche di Beethoven, coreografia e scena di Salvatore Viganò: Prometeo è sul Parnaso per affidare ad Apollo Musagete due sue creature così che vengano istruite in musica, danza, teatro. Da questa scintilla parte la variazione sul mito prometeico nella musica del ventesimo secolo. Dal Prometeo figulus o plasticator, plasmatore del corpo dell’uomo, cui allude il balletto, Ciani svela l’altro volto di Prometeo legato al fuoco, e si inoltra così nell’opera d’arte totale di Skrjabin, Prometeo. Poema del fuoco (1910). Il destino ultimo del Prometeo contemporaneo è tuttavia altrove, ossia in Prometeo. Tragedia dell’ascolto (1984), lavoro corale di Luigi Nono, Massimo Cacciari, Renzo Piano, Emilio Vedova, Claudio Abbado, pensato per uno spazio preciso, la sconsacrata chiesa veneziana di San Lorenzo. Maria Grazia Ciani ri-crea nella mente del lettore i percorsi d’arte e di pensiero dei ‘plasmatori’ di quest’opera e lo accompagna nella comprensione del Prometeo contemporaneo, toccando con grazia e intelligenza le corde dolorose della nostalgia dell’antico e quelle inquiete della «disperata speranza degli infiniti possibili» (p. 77).

Ma chi è questo Prometeo? È ormai «solo un corpo ingombrante abbandonato a terra, un manichino che non ha neppure la sostanza espressiva di una statua mutilata. Tuttavia le parole inseguono la musica, cercano di aggrapparsi agli scarti melodici, non abbandonano la presa. E l’ansia che percorre tutta l’ardita composizione sembra il prolungamento dell’ansia prometeica di raccordarsi con l’umanità, di dare uno scopo e una ragione al suo pur breve futuro. Forse nulla come la rivoluzione musicale ha espresso questo anelito a un futuro nuovo, libero dal passato; ma ha scontato il rapporto con la sua presenza ostinata e assillante» (p. 13). Così scrive Ciani nella Premessa, da leggere (forse) alla fine de Il Canto.

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