Le scoperte di questo Primo Maggio
Pandemia Quanto c’è oggi di più pericoloso è l’idea che allontanato il virus si possa ricominciare come prima. Dovrà cambiare la produzione e quindi il lavoro. Qualcosa di così difficile che potrebbe portare a una drammatica disoccupazione. Il tempo che ci attende riproporrà uno scontro di classe di una durezza che forse non abbiamo ancora mai sperimentato
Pandemia Quanto c’è oggi di più pericoloso è l’idea che allontanato il virus si possa ricominciare come prima. Dovrà cambiare la produzione e quindi il lavoro. Qualcosa di così difficile che potrebbe portare a una drammatica disoccupazione. Il tempo che ci attende riproporrà uno scontro di classe di una durezza che forse non abbiamo ancora mai sperimentato
Qualcuno mi ha accusato di esser amica del corona virus. Non è vero e spero mi crediate sulla parola. E però è chiaro che la sua comparsa, in sé drammatica, è anche una grande occasione. Innanzitutto per ripensare il lavoro. Questo 1° Maggio ha le sue piazze per la prima volta da 30 anni vuote.
È un’immagine così struggente che sta spingendo tutti a vivere questa giornata in modo diverso dal solito. Mi ha colpito l’intervista al manifesto di chi al lavoro è costretto a pensarci ogni momento della sua giornata, Maurizio Landini: è la prima volta, così mi pare, che con tanta forza un segretario della Cgil non appare solamente preoccupato della difesa del lavoro e impegnato a denunciarne le condizioni, ma proprio, anche, ad interrogarsi su cosa sia, a sottolineare che «non può più essere considerato alla stregua di mero fattore della produzione», che del resto «non risponde più a bisogni della maggioranza delle persone».
Tutto il suo discorso è segnato dalla preoccupazione del guasto che questo modello di sviluppo produce sull’uomo e sulla natura. Per altro verso il mio amico virus sta facendo riscoprire ad ognuno di noi l’importanza per ciascuno del lavoro degli altri.
Decenni di esasperato individualismo hanno finito per convincerci dell’idea che siamo felicemente autosufficienti, indifferenti verso quel complesso, articolatissimo di relazioni sociali che ci consente di vivere come viviamo: oggi scopriamo, mentre vengono snocciolate le date per la ripresa dell’attività di questa o quella categoria lavorativa, la sofferenza che avvertiamo per esser state/i privati di questa o quell’attività che abbiamo dato per scontato che sarebbe stata sempre a nostra disposizione. Scopriamo, insomma, che senza il lavoro degli altri non sappiamo sopravvivere. Forse, così, riscopriamo anche l’importanza di celebrare il Primo di Maggio.
Così scopriamo che una buona parte delle cose che facevano parte del nostro normale consumo in definitiva non erano poi così importanti, mentre scopriamo quanto drammatico è non poter appagare tutt’altri bisogni: mille merci sugli scaffali dei supermarket, ma pochi, pochissimi, servizi di cura per bambini vecchi malati.
Scopriamo così che, a differenza dell’antichità, oggi il mercato non segnala più, naturalmente, quello di cui abbiamo bisogno, perché i bisogni primari se non per tutti almeno per molti nel nostro occidente, sono appagati: e che, dunque, a comandare l’offerta di merci non è la nostra domanda, ma è per tre quarti la produzione stessa, che esercita una vera dittatura sui nostri consumi. Sicché ci riempiono di merendine e simili, quelle tante cose che ossessivamente ci propone la pubblicità televisiva, mentre mancano ospedali e scuole; e il territorio crolla ad ogni pioggia. Su questo Landini nell’intervista richiama la nostra attenzione: si debbono cambiare le priorità dei nostri consumi per appagare i quali si sta distruggendo la Terra; e, di conseguenza, la nostra salute.
Quanto c’è oggi di più pericoloso è l’idea che allontanato il virus si possa ricominciare come prima; e purtroppo le tante commissioni cui viene affidata la ripresa economica danno davvero poco affidamento che la fase di transizione che è necessaria per costruire un nuovo modello di società venga innescata e indirizzata nel verso giusto.
Dovrà cambiare la produzione e quindi il lavoro. Qualcosa di così difficile che potrebbe portare a una drammatica disoccupazione. Il tempo che ci attende riproporrà uno scontro di classe di una durezza che forse non abbiamo ancora mai sperimentato. E noi – ecco l’impegno in questo anomalo Primo Maggio – dovremo esser capaci di non rimanere succubi del ricatto che ci verrà proposto:se volete misure ecologiche dovrete rassegnarvi alla disoccupazione.
Dobbiamo esigere tutti gli ammortizzatori sociali che si renderanno necessari – salari di emergenza, universali e quant’altro – e che però saranno anche nel migliore dei casi semplici palliativi se nel contempo non si creeranno nuovi lavori: per rispondere ai veri bisogni e non a quelli indotti da una produzione comandata solo dal massimo profitto. Di lavoro ce ne è tantissimo, solo dovrà e potrà, essere diverso da quello inquinante, per rispondere a bisogni realmente umani.
In questo Primo Maggio non potremo andare in piazza né al concertone, ma avremo un bel po’ da riflettere su i temi nuovi che la festa dei lavoratori oggi ci propone. E spero non ci lasceremo andare anche noi – qualche segnale c’è anche nella nostra area di sinistra – a protestare perché la nostra libertà viene lesa dalle restrizioni che per via della pandemia ci vengono imposte.
Dobbiamo, certo, collaborare per renderle più ragionevoli, ma sapendo che spesso è difficile farlo senza correre il rischio, purtroppo ben presente, di un ritorno massiccio del virus. Stiamo attenti: dietro la campagna che denuncia addirittura una violazione della Costituzione, c’è lo spregiudicato tentativo di raccogliere con irresponsabile demagogia un consenso che ha visto negli ultimi tempi declinare. Per riproporre un pericoloso governo.
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