Le scelte di Julie, ragazza fragile alla ricerca di un posto al mondo
Al cinema Il nuovo film di Joachim Trier «La persona peggiore del mondo», quasi un romanzo di formazione negli atti mancati dei sentimenti
Al cinema Il nuovo film di Joachim Trier «La persona peggiore del mondo», quasi un romanzo di formazione negli atti mancati dei sentimenti
Julie è una ragazza che si cerca, studentessa modello di medicina all’improvviso scopre che la sua vocazione è un’altra, la psicologa. Si taglia i capelli, li tinge di rosa, lascia il fidanzato e inizia a frequentare i nuovi corsi. Ma neppure qui si sente a suo agio, e un’intuizione le fa capire che il suo avvenire sarà quello di fotografa. Si dedica così alle foto in posa, è seducente, brillante, ha molte relazioni finché non incontra Aksel (Anders Danielsen Lie), autore di fumetti di successo. Lui è più grande di lei, e ha paura che questa distanza d’età la faccia fuggire, ma è proprio quando glielo dice che Julie si innamora di lui. La loro vita insieme è appena iniziata.
Joachim Trier, danese, affermatosi col successo di Oslo, 31 August (2011), ispirato al romanzo di La Rochelle Fuoco fatuo, sceglie per il suo nuovo film, che ha esordito in concorso all’ultimo festival di Cannes – con la Palma d’oro all’interprete Renate Reinsve – la cifra apparente di una commedia dei sentimenti modulata sui passaggi esistenziali del personaggio femminile al centro della narrazione. La persona peggiore del mondo – a cui fa riferimento il titolo – e che nelle intenzioni dell’’autore chiude una trilogia dedicata a Oslo – dove infatti si svolge – è dunque Julie, millennial fragile e confusa tra un lavoro precario da libraia, complicate relazioni famigliari da una parte con la madre che non ha perdonato al padre di essersene andato per formare una nuova famiglia, dall’altra col padre, orrendamente egotico e molto tirchio – non va mai a trovare Julie e il compagno per non pagare il parcheggio. Intanto il fidanzato, forse influenzato dai coetanei già famiglia-muniti comincia a parlare di figli, mentre le mogli dei suoi amici quella ragazza giovane e bella la guardano con sospetto. Lei si sente a disagio, un po’ fuori posto: meglio rassegnarsi? O magari cercare un nuovo amore? Qualcuno con cui ricominciare e riscoprire il piacere del corteggiamento, il batticuore dei segreti, una notte di chiacchiere, una panchina condivisa all’alba.
IN 12 CAPITOLI Trier segue la la sua protagonista per quattro anni: cosa accade a Julie? Ma soprattutto perché è «la persona peggiore del mondo»? Forse per la tendenza che ha di fuggire, di sottrarsi alle regole della cosiddetta «età adulta» più o meno stabilire cercando invece una propria lingua, una parola che parli di sessualità al femminile – come fa lei nei suoi articoli opponendosi all’idea di mettere sempre gli uomini al centro del discorso.
L’AUTORE ha spiegato che l’idea del film è confrontarsi con quegli interrogativi esistenziali che possono riguardare chiunque al di là del gender: «La scelta di puntare su una figura femminile non significa fare un discorso generale su cosa significa essere donna oggi». Infatti il film – e per fortuna – non lo fa. E anzi per un po’ viene da pensare persino che la giovane sia quasi il suo l’alter ego , capace di disporre gli altri personaggi che entrano e escono dalla sua vita determinandone in qualche modo le trasformazioni. Invece no, anche lei e forse persino più di loro, è catturata nella scrittura messa in atto abilmente da Trier, che ammicca al contemporaneo e ai suoi sentimenti, punteggiando qua e là la traiettoria della ragazza di situazioni in cui ciascuno può riconoscersi, ma in fondo senza troppa empatia.
La questione è: quanto ama davvero il regista il personaggio di Julie? E quanto invece ciò che ha costruito per lei non rappresenta una gabbia persino un po’ vendicativa nella quale l’ha rinchiusa?
Gli amori, le scelte, gli abbandoni finiscono nel filo del tempo per spiazzarla da sé: quasi come in una macchina vendicativa che – senza spoilerare – la «relega» nell’infelicità. In fondo c’è un sottofondo misogino in questa «demarche» di Julie, da più parti paragonata a un personaggio rohmeriano salvo che il regista francese empatizzava sempre mentre qui l’empatia non si avverte.
Alla fine, anche se in modo non diretto l’eroina è travolta dagli eventi e dal suo fare, in cui l’autore sembra prendersi la rivincita su di lei, o su un certo femminile. Chissà.
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