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Le responsabilità del kirchnerismo

Le responsabilità del kirchnerismoArgentina, la festa di Macri – LaPresse

Argentina Intervista all'analista politico Carlos Aznarez

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 24 novembre 2015

“La destra ha fatto bene il suo lavoro, ma il kirchnerismo ci ha messo del suo. Adesso è il momento della riflessione, dell’unità e della resistenza”. Così dice al manifesto l’analista politico argentino Carlos Aznarez, direttore del network Resumen latinoamericano.

Aznarez ha partecipato alla Reunion Continental de Medios de Comunicacion, organizzata a San Paolo nella Scuola autogestita dal movimento brasiliano dei Sem Terra, la Florestan Fernandes. Un incontro allargato anche all’informazione alternativa negli Stati uniti (come Democracy Now) e al Canada, organizzato dall’Mst, da Brasil de Facto e dall’Alba de los Pueblos. Al centro del confronto, la nuova congiuntura del continente, il ritorno aggressivo delle destre modello Fmi e il ruolo dei media nel favorirlo o contrastarlo.

Subito dopo l’incontro, Aznarez si è recato a votare nel suo paese, dove lo abbiamo raggiunto per terminare al telefono la nostra conversazione.

Ha vinto il miliardario Macri. Un voto senza sorpresa. Qual è la sua analisi?

Il primo turno del 25 ottobre ha reso evidente l’assenza di un’alternativa credibile capace di rappresentare il meglio di quanto è stato costruito e di approfondire le riforme. Il kirchnerismo si è visto obbligato a scegliere un candidato come Scioli, legato a un personaggio inviso e squalificato come Carlos Menem, che ha portato il paese al bordo del precipizio. Fin dalle primarie vi sono stati malumori, in molti hanno evidenziato l’assenza di dibattito e l’allontanamento di altri candidati. Anche la proposta di Zannini – uomo di fiducia di Cristina – come vicepresidente, ha rafforzato la convinzione che il candidato avrebbe messo a rischio le conquiste sociali. Come governatore della provincia di Buenos Aires, Scioli ha presentato luci e ombre. Le sue politiche hanno provocato forti proteste di alcuni settori sociali, ai quali ha risposto col pugno di ferro, mostrandosi spesso lontano dall’atteggiamento del governo centrale che ha sempre cercato il dialogo con i settori sindacali e con la piazza. In campagna elettorale, ha fatto a gara con la destra proprio sul tema dell’ordine pubblico, mentre la soluzione ai problemi non è quella di aumentare gli effettivi di polizia, ma la giustizia sociale e gli spazi di dignità per i settori che ne sono esclusi. Seppure con una logica prevalentemente assistenzialistica, in questo ambito il kirchnerismo ha fatto grandi passi avanti, ma nella provincia di Buenos Aires c’è sempre stato un deficit. E lì, di certo non si sarebbe dovuto presentare un candidato non gradito come invece è stato fatto. Di fronte a questo risultato, occorre un’ampia riflessione interna. La destra ha sicuramente approfittato della congiuntura poco favorevole per l’America latina ed è entrata di peso nelle contraddizioni della sinistra, si è avvantaggiata della presenza di un terzo candidato, anch’egli di destra, come Massa, ma il kirchnerismo ci ha messo del suo.

Che destra è quella rappresentata da Macri e quali saranno le conseguenze?

Una destra simile a quella di un Aznar per la Spagna, di un Pinera per il Cile o un Pena Nieto per il Messico, guidata dalle politiche degli Stati uniti e del Fondo monetario internazionale. Gli uomini di Macri hanno fatto un lavoro casa per casa nei quartieri poverissimi, dove non esiste coscienza di classe, hanno fatto leva anche su alcuni segmenti delle strutture sindacali. Di quei voti, ora Macri si servirà per contrattare negoziati al ribasso con i rappresentanti dei lavoratori e al rialzo con gli imprenditori. Il modello di paese che vuole imporre si situa all’opposto da quello fin qui immaginato dal kirchnerismo e che ha posizionato in un certo modo l’Argentina nel mondo, per esempio sul piano dei diritti umani. Gli uomini di Macri, durante la campagna elettorale hanno insultato le Madri e le Nonne di Plaza de Mayo, dando chiaramente ad intendere che vogliono azzerare i processi ai genocidi del periodo militare. Macri propone una falsa “riconciliazione” sul modello della teoria dei due demoni avanzata da Menem: pari responsabilità tra la dittatura e chi l’ha combattuta. Nonostante la retorica e le false rassicurazioni, i primi a doversi pentire saranno quei settori popolari e marginali che hanno votato a destra: perché ci aspetta un ritorno alle politiche devastatrici degli anni ’90 da cui pensavamo di esserci liberati. Questa dolorosa contingenza deve servire alla sinistra per mettere da parte le proprie meschinità, unirsi e prepararsi a resistere e a difendere i processi rivoluzionari di altri paesi.

E a festeggiare con Macri c’era anche la destra venezuelana, capeggiata da Lilian Tintori, moglie del golpista Leopoldo Lopez.

Per le destre latinoamericane e per gli Usa, il Venezuela petrolifero e socialista è il nemico da battere. Macri lo ha detto chiaramente in campagna elettorale: i suoi due principali obiettivi sono l’Iran e il Venezuela. La prima cosa che farà sarà quella di spingere perché il Venezuela venga espulso dall’Organizzazione degli stati americani e sanzionata dal Mercosur. Per questo, conta sull’ambiguità esistente in Cile o in Uruguay. Alla presidenza dell’Osa c’è l’uruguayano Almagro che, nonostante la scomunica da parte di Pepe Mujica e della sinistra del suo paese, porta avanti un attacco frontale e immotivato al Venezuela. Non bisogna dimenticare che , dieci anni fa, il presidente uruguayano, Tabare Vazquez, uscì dall’aula quando Nestor Kirchner votò contro il progetto dell’Alca voluto da Bush, insieme a Fidel, Chavez e Lula. Dal mio punto di vista, quei paesi progressisti che non hanno saputo approfittare di una congiuntura favorevole per approfondire i cambiamenti strutturali, hanno perso una buona occasione. Il capitalismo è vorace, non si può edulcorare, se vede che tentenni, ti castiga. L’imperialismo è vorace, ora punta al Venezuela, pensando che se cade Maduro tutte le alleanze solidali del continente si sfalderanno: poi toccherà all’Ecuador, al Nicaragua, alla Bolivia. Il popolo del Venezuela, pur messo a dura prova da numerosi attacchi in questi ultimi anni, di questo è consapevole. Ma deve far fronte a una destra senza scrupoli e senza progetto. E non dobbiamo lasciarlo solo.

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