ExtraTerrestre

Le ranger del Kenya sulle tracce dei bracconieri

Traffici La loro base operativa è in un’area Masai al confine tra Kenya e Tanzania

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 20 maggio 2021

Sono giovani, forti e preparate. Sono le prime donne ranger della storia del Kenya. Le loro posture e le loro espressioni esprimono tutta la fierezza di indossare quella divisa e di essere tra le pochissime entrate a far parte del Team Lioness, nato nel 2019. Per ora sono solamente otto e, insieme agli Olgulului Community Wildlife Rangers (OCWR), sono state scelte per difendere il loro territorio dal bracconaggio e dal traffico illegale di fauna selvatica, che negli ultimi anni è diventata una delle principali attività della malavita organizzata, al pari del traffico di droga.

Di etnia Masai, hanno tra i 19 e i 28 anni e la loro base operativa è l’Olgulului-Ololarashi Group Ranch, una vasta area di terre tradizionali della comunità Masai, al confine tra Kenya e Tanzania che comprende quasi completamente il Parco Nazionale Amboseli.

I 76 ranger del parco sono organizzati in sei basi e un’unità mobile grazie anche al supporto di Ifaw, che in quell’area da anni porta avanti progetti per la salvaguardia del territorio e della fauna e per la formazione, la scolarizzazione e il sostegno delle popolazioni locali. L’Oogr da solo ospita il 90 per cento degli habitat e dei corridoi per la fauna selvatica migratoria, compresi i 2.000 elefanti del parco. Formando un ferro di cavallo intorno ad Amboseli, rappresenta, con i suoi 26.000 acri, un passaggio essenziale proprio per la migrazione degli elefanti. Quest’area infatti è tra quelle maggiormente raccontate e filmate nel documentario The ivory game.

Le giovani donne del team Lioness sono state selezionate per la loro forza fisica e la loro capacità di dimostrare affidabilità, disciplina e integrità. Ma anche per i loro risultati accademici. E questa è una grande conquista per le ragazze Masai che in casi molto rari raggiungono un’istruzione superiore visto che in genere abbandonano la scuola intorno ai 10 anni.

Le Lioness invece possono vantare una formazione che è equivalente a un’istruzione superiore negli Stati Uniti. Inoltre questa è una straordinaria opportunità di ottenere un lavoro pagato, cosa, anche questa, assai rara. Infatti, anche se alcune donne Masai riescono a raggiungere un’istruzione superiore, per loro è poi molto difficile avere l’opportunità di lavorare e diventare indipendenti economicamente.

Questo piccolo gruppo ha dunque tutti i requisiti per essere dirompente nella comunità locale, uno vero stimolo al cambiamento per altre donne verso una maggiore apertura ed emancipazione.

«Per me l’istituzione di questo team è la dimostrazione concreta che le donne possono avere un’opportunità», dice Purity, una ranger del team Lioness. «Sto acquisendo competenze e conoscenze su come conservare e proteggere gli animali selvatici e tornerò nella mia comunità per raccontare la mia esperienza e dimostrare l’importanza di questo lavoro. Perché se uccidi quel leone uccidi il tuo futuro». «La protezione di animali selvatici – aggiunge Loise, un’altra Lioness ranger – ci permette di avere molto scambio con l’estero. E questa è un’esperienza che mi arricchisce e che posso trasmettere alle altre donne. Sono davvero felice di fare questo lavoro».

La presenza del team Lioness ha creato in alcune comunità Masai un desiderio da parte delle altre donne di avvicinarsi a questa attività e una spinta verso una maggiore leadership femminile nelle iniziative di conservazione della fauna e di tutela del territorio. Tanto che dalle donne più anziane è arrivata la richiesta perentoria di assumere una donna ranger ogni quattro uomini.

Purtroppo in questi ultimi mesi la pandemia ha reso il lavoro del team Lioness più insidioso che mai. A causa del crollo del turismo, le agenzie che organizzavano tour tra la fauna selvatica hanno ridotto drasticamente le loro attività. Così, l’assenza di pattuglie regolari, che agiscono come deterrente, spiana la strada al bracconaggio.

Questo mette a rischio non solo gli elefanti ma anche gli uomini e le donne che li difendono. E a confermarlo ci sono gli oltre mille ranger che in Africa hanno perso la vita per questa causa negli ultimi 10 anni.

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