Sceglie i prati di asfodelo dell’oltretomba, Margaret Atwood, come fondale del suo Il canto di Penelope (Ponte alle Grazie, pp. 153, euro 13,50) per dare (e sottrarre) corpo alle parole della scaltra (più che bella) moglie di Odisseo, consegnata alla storia per la granitica fedeltà al marito, sbattuto per mari e condannato ad assaporare i piaceri di altri letti prima di poter riposare in quello legittimo, in patria. Il suolo patrio, appunto: quella madreterra ora declinata al maschile che fagocita il preellenico mondo matriarcale a cui Atwood dà voce, attingendone la differente versione dai Miti greci di Robert Graves, nel...