Cultura

Le radici cosmopolite della scienza globale così a lungo ignorate

Le radici cosmopolite della scienza globale così a lungo ignorateFrancobollo commemorativo dell’astronomo persiano Nasir al-Din al-Tusi, direttore dell’osservatorio di Maraghegh, che due secoli prima di Copernico metteva già in discussione la cosmologia tolemaica

Scaffale Da Copernico ad Einstein non si è tenuto conto del contributo delle culture non occidentali alla rivoluzione scientifica. Il saggio dello storico britannico James Poskett «Orizzonti» (Einaudi) cerca di porvi rimedio

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 31 agosto 2022

L’Istituto nazionale giapponese di scienza e tecnologia aggiorna regolarmente la lista delle ricerche scientifiche più rilevanti degli ultimi anni. Pochi giorni fa ha certificato un sorpasso storico: nell’élite della scienza, università e centri di ricerca cinesi oggi contano più di quelli statunitensi. Vacilla il mito secondo cui la produzione potrà anche spostarsi a Oriente, ma la culla della scienza rimane in Occidente. Saremmo stati noi europei, secondo il mito, a inventare il metodo scientifico, il più potente sistema di indagine della realtà. E a portarlo alla massima efficacia attraverso Copernico, Newton, Darwin e Einstein.

MA – APPUNTO – DI MITO si tratta, come dimostra l’ultimo saggio di James Poskett, Orizzonti. Una storia globale della scienza, pubblicato per Einaudi nella traduzione di Alessandro Manna (pp. 520, euro 34,00). Secondo Poskett, storico all’università di Warwick (Regno Unito), non si può spiegare la rivoluzione scientifica senza tenere conto dell’influenza decisiva di culture diverse.

Alla scoperta dell’America, la cultura aristotelico-tolemaica era ancora quella dominante in Europa. L’incontro con i saperi indigeni rese evidente che non tutto poteva trovarsi nei testi antichi a partire dagli ortaggi: «Aristotele non aveva mai visto un pomodoro, figuriamoci un palazzo azteco o un tempio inca». La storia naturale uscì rivoluzionata dai resoconti dei gesuiti in missione presso gli indios, che riferirono di lingue, mappe, medicine, classificazioni botaniche e zoologiche a noi sconosciute. E che incorporammo senza riconoscere copyright alcuno.

ANCORA PIÙ SORPRENDENTE è l’influsso di culture non occidentali sulla rivoluzione copernicana. «La pubblicazione del De revolutionibus orbium coelestium è stata a lungo considerata il punto di avvio della rivoluzione scientifica. Invece si tende molto meno a riconoscere che Niccolò Copernico fondò la sua opera su una tradizione islamica di lungo corso». Gli arabi non ebbero solo il merito di tradurre i testi greci durante il medioevo e impedirne l’oblio, ma seppero darne anche una lettura critica.

Due secoli prima di Copernico, l’astronomo persiano Nasir al-Din al-Tusi, direttore dell’osservatorio di Maraghegh, metteva già in discussione la cosmologia tolemaica. I diagrammi di al-Tusi si ritrovano nel De revolutionibus di Copernico perché permettevano di descrivere correttamente il moto dei pianeti intorno a un centro diverso dalla Terra. «Copernico citò non meno di cinque autori islamici, in gran parte critici del modello tolemaico» scrive Poskett. Non conosceva l’arabo, ma «nell’Europa del XVI secolo le principali opere di astronomia araba erano ormai quasi tutte disponibili in edizione latina e greca».

LO SVILUPPO DI CULTURE scientificamente avanzate fuori dall’Europa non avvenne solo nella parentesi medievale ma anche nei secoli successivi. «Rinascimenti» analoghi al nostro si osservavano da Istanbul a Pechino, da Dehli a Timbuctù. Con buona pace della retorica sulle «epoche d’oro» della scienza islamica, cinese o indù utili «a relegare in un passato distante le scoperte scientifiche fatte al di là dei confini europei».

La scienza occidentale non ha più smesso di essere un’opera globale. Le scoperte di Newton furono possibili solo grazie alla rete di commerci che collegò l’Impero britannico alle isole dell’Oceano Indiano e del Pacifico. La merceologia coloniale fu il vero impulso allo sviluppo della classificazione delle specie di Linneo. Anche la rivoluzione scientifica operata da Charles Darwin fu influenzata da elementi culturali alieni: i reperti raccolti sul Beagle, ma anche i testi provenienti da Pechino. «L’idea di evoluzione non era certo nuova in Cina e lo stesso Darwin ne era cosciente», spiega Poskett, citando quanto scrisse lo scienziato nell’Origine della specie.

NELLA NARRAZIONE occidentale, questi contributi scientifici sono stati sistematicamente occultati anche in tempi più recenti. Il primo modello atomico in cui gli elettroni ruotavano intorno a un nucleo fu elaborato dal fisico giapponese Nagaoka Hantaro nel 1905, ma è oggi noto come «modello di Rutherford» dal nome dello scienziato neozelandese che lo reinventò alcuni anni dopo. Andò in modo simile con la scoperta del positrone da parte del fisico e premio Nobel statunitense Carl Anderson: il cinese Zhao Zhongyao aveva già osservato la stessa particella qualche anno prima.

LA DIALETTICA tra globalizzazione e nazionalismo, che ha nascosto la natura cosmopolita del progresso scientifico, secondo Poskett attraversa oggi settori strategici per tutti: climatologia, intelligenza artificiale, esplorazione spaziale. Dove però si agisce solo nel nome del proprio interesse nazionale. Riscrivere il racconto del passato è la premessa per avviare una nuova collaborazione globale. «Quando si esclude dalla storia buona parte del mondo, ben poche sono le speranze di poter lavorare insieme».

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